Perché conviene scommettere sulle frontiere

Share on linkedin
Share on email
Share on twitter
Share on facebook
Share on whatsapp

Nel 2018 il rialzo dei tassi Usa e il drenaggio di liquidità effettuato dalla Fed hanno messo in ginocchio le economie meno sviluppate. Ma quest’anno possono rivelarsi la carta vincente per cercare un surplus di performance nel lungo termine. Guardando soprattutto a Brasile, India e agli stati del Golfo.

Lo scorso anno i mercati emergenti, tipicamente a maggior rendimento, e a maggior rischio rispetto a quelli principali, hanno particolarmente soff erto. L’indice di riferimento Msci dei paesi emergenti, infatti, ha chiuso il 2018 con un -14,58%. Le nazioni che si aff acciano sul Golfo Persico, grazie alla straordinaria (sia per l’annata sia in senso assoluto e relativo) performance del Qatar, e il Brasile, che ha metabolizzato molto meglio di quanto le previsioni facessero pensare l’elezione del discusso Jair Bolsonaro alla presidenza della repubblica, possono vantare una performance realmente positiva. Grazie al recupero degli ultimi giorni del 2018, a seguito dello stemperamento delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, anche i mercati latinoamericani sono stati (timidamente) positivi. Come il grande mercato indiano (la potenza futura del XX secolo, senza dubbio), su di un paio di punti percentuali, e il Messico. Il resto, ovunque, mostra il segno rosso, con parecchie nazioni in doppia cifra negativa. E, se c’è sorpresa su chi sia andato bene, ce n’è molta meno su chi invece sia andato peggio, con la Turchia del controverso e molto criticato presidente Erdogan a fare da fanalino di coda, con perdite sul mercato equity vicine al 300%.

Ma perché questo mare di rosso, e quali prospettive ci sono per il futuro, sia nel campo azionario che in quello obbligazionario? Prima di tutto, la ragione principale per cui i mercati emergenti hanno così sofferto è da rintracciare nel mercato guida di tutto il mondo, sviluppato e non, cioè gli Stati Uniti. E ha un nome preciso: Federal Reserve. Sono infatti il rialzo dei tassi americani e il conseguente drenaggio di liquidità, di circa 150 miliardi di dollari al mese, che la Fed sta attuando Lo scorso anno i mercati emergenti, tipicamente a maggior rendimento, e a maggior rischio rispetto a quelli principali, hanno particolarmente soff erto. L’indice di riferimento Msci dei paesi emergenti, infatti, ha chiuso il 2018 con un -14,58%. Le nazioni che si aff acciano sul Golfo Persico, grazie alla straordinaria (sia per l’annata sia in senso assoluto e relativo) performance del Qatar, e il Brasile, che ha metabolizzato molto meglio di quanto le previsioni facessero pensare l’elezione del discusso Jair Bolsonaro alla presidenza della repubblica, possono vantare una performance realmente positiva. Grazie al recupero degli ultimi giorni del 2018, a seguito dello stemperamento delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, anche i mercati latinoamericani sono stati (timidamente) positivi. Come il grande mercato indiano (la potenza futura del XXI sea partire da quando ha terminato il quantitative easing, che hanno messo in ginocchio i mercati emergenti.

La Cina è sulla bocca di tutti per le ben note tensioni commerciali con l’America di Trump, sfociate in ripetuti rialzi dei dazi da entrambe le parti. Gli Stati Uniti osteggiano sia il piano infrastrutturale per la Nuova via della seta sia l’altrettanto famoso Made in China 2025, con cui il governo centrale intende aumentare la produzione domestica di componenti ritenute strategiche, e oggi in mano principalmente a società estere, soprattutto Usa, in campi quali la farmaceutica, la robotica, l’alta tecnologia in generale. Lo squilibrio commerciale tra Usa e Cina (344 miliardi di dollari a favore di Pechino a ottobre 2018, come ricorda l’Uffi cio di statistica americano), e il fatto che le commodities mondiali vengono scambiate in dollari (rafforzatosi in virtù del rialzo dei tassi), sta ponendo il governo cinese di fronte a problemi piuttosto grossi. Le azioni cinesi, anche quelle di Hong Kong, ne hanno chiaramente risentito; sia la manifattura sia i servizi sono in rallentamento, almeno a giudicare dagli ultimi dati Pmi elaborati da Caixin. E se l’economia non va benissimo, i mercati ne prendono atto.

La Russia ha avuto un 2018 altalenante e volatile, ma è stata sotto i rifl ettori principalmente per questioni geopolitiche, come spesso accade. Questo non le ha impedito di accordarsi al trend negativo annuale, con una performance vicina al +1,4%. Non hanno chiaramente giovato né il contrasto con gli Stati Uniti in merito alla questione dei missili balistici nucleari a medio raggio, né le tensioni, anch’esse geopolitiche. E, se gli indici hanno benefi ciato della risalita dei prezzi della materia prima nel corso dell’anno, il crollo degli ultimi tempi ha chiaramente penalizzato la Russia, fortissimo esportatore della materia prima.

L’India, forte di un’economia in salute anche più di quella cinese, ha avuto sì una performance negativa, ma circa il 50% inferiore a quella degli altri grandi paesi emergenti (-7,70%). Le riforme economiche del premier Narendra Modi sembra che continuino a stimolare la crescita del paese, che sarà senza dubbio il protagonista della seconda metà del secolo, arrivando a sostituire la Cina come principale mercato dei paesi Brics. Il Brasile è s tato senza d ubbio l a sorpresa dell’annata. Contrariamente al sentiment popolare, diff uso dai media, che faceva pensare a una nazione in profonda crisi, la Borsa di San Paolo è stata la migliore non solo dei Brics, ma praticamente di tutti i mercati emergenti, Qatar escluso. L’elezione di Bolsonaro è piaciuta molto ai mercati e, dato che non è mai stata messa in discussione dai sondaggi preelettorali, ha contribuito a una buona performance in virtù anche delle molte riforme economiche promesse. Pare proprio che, dopo due anni di recessione, la nazione sudamericana sia sulla strada della svolta, sia economica sia fi nanziaria.

Il Messico ha avuto una buona performance, dovuta principalmente al nuovo accordo commerciale con Canada e Stati Uniti, ribattezzato Uscma, che sostituisce il Nafta, e all’elezione del nuovo presidente Lòpez Obrador, eletto a furor di popolo con la promessa di aiuti fi nanziari ai giovani e agli anziani, il perdono per qualche signore della droga, referendum sulle riforme energetiche, stimoli all’economia agricola, la costruzione di nuove raffi nerie di petrolio (di cui il Messico è ricco, con una produzione di 1,8 milioni di barili al giorno; fonte: ministero dell’Energia) e tagli alle pensioni e ai salari dei politici.

La Turchia ha vissuto un annus horribilis, massacrata a livello geopolitico dalle decisioni quantomeno discutibili del premier Erdogan, che hanno scatenato la speculazione contro la valuta nazionale, la lira. Con inflazione che ha raggiunto il 18%, e una banca centrale che, per ingerenze politiche, non è stata reattiva nel tenere sotto controllo la situazione, gli speculatori hanno assalito i mercati turchi, aff ossando sia la valuta sia i corsi azionari ed obbligazionari. Nell’ultimo corso del 2018 le tensioni si sono stemperate, forti anche di una ritrovata unità con l’alleato americano, fondamentale sotto molti aspetti per la crescita turca, ma questo non ha impedito al mercato turco di chiudere la peggiora annata di sempre dalla crisi finanziaria, con perdite superiori al 45%.

Il Qatar è stato la sorpresa delle sorprese dell’annata appena trascorsa. Messo all’angolo dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti, con un embargo commerciale pesante per questioni politiche di supporto, supposto ma molto probabile, al terrorismo jihadista mondiale, il piccolo stato arabo, principale esportatore mondiale di gas naturale, ha trovato proprio in questa risorsa la via di fuga da una situazione molto negativa. Visto la richiesta della commodity, che fi no a novembre aveva avuto un rialzo vicino al 100%, il mercato qatariota ha visto un affl usso di denaro notevole, e ha archiviato l’annata con una performance positiva di oltre il 13%.

Ma dove investire, al momento sui mercati emergenti? Quali di essi risultano essere più interessanti in questo inizio del 2019?

In Argentina la recessione dovrebbe rallentare nel 2019, con un Pil in calo “solo” del -1,6% dopo il -2,8% pensioni, e non solo quella. Sebbene vi sia il rischio che queste riforme vengano diluite, già dei primi passi su questo fronte, seppur modesti, costituirebbero un precedente per ridurre una spesa pensionistica molto elevata (12% del Pil e circa quattro volte superiore a quella del Messico).

In Messico, il presidente Obrador si è insediato il 1° dicembre 2018. Nel 2019 vedremo quante delle sue promesse elettorali saranno realizzate. La lista degli obiettivi di spesa (infrastrutture, investimenti nel settore petrolifero, aumenti delle pensioni e dei salari minimi oltre a programmi di formazione per i giovani) è infatti lunga e costosa. In Russia, invece, osserviamo che la ripresa della crescita si è affievolita, e il Pil dovrebbe viaggiare a una velocità bassa, di circa l’1,5-2%. Sembra probabile un ulteriore inasprimento fi scale, dato che la spesa è in frenata, l’età pensionabile è stata elevata e l’Iva è aumentata. Il governo si nel 2018. I prestiti del Fmi e la stretta fi scale aggressiva del governo di Mauricio Macri contribuiranno probabilmente a contenere il deprezzamento del peso e l’inflazione, e alla fi ne potrebbero portare al taglio dei tassi di interesse.

Tuttavia, gli investitori potrebbero diventare nervosi verso il 2020 in vista dell’esito delle elezioni. Lo scenario di base è che Macri, o un altro membro (più popolare) del partito Cambiemos al potere, o un candidato peronista moderato dell’opposizione, vincerà le elezioni presidenziali. Questo garantirebbe una continuità, a vari livelli, della politica di austerità fi scale nel 2020. In Brasile è probabile che la crescita del Pil aumenti gradualmente (dall’1,4% al 2,4%) in quanto l’infl azione e i tassi d’interesse relativamente bassi sono da stimolo a consumi e investimenti. Il deficit di bilancio resta ampio (7% del Pil), ma il presidente Bolsonaro si è impegnato a portare avanti la riforma delle sta preparando a ulteriori sanzioni americane, in particolare al rischio che agli investitori americani possa, a un certo punto, essere impedito l’acquisto di nuove emissioni sovrane. L’inasprimento fiscale è, in parte, preparazione a tale eventualità. Ci si aspetta che l’emissione netta di titoli sovrani e societari sia negativa, con una probabile scarsità maggiore di obbligazioni russe nel tempo. Ciò dovrebbe fornire un supporto ai prezzi dei titoli.

Sul Sudafrica bisogna e ssere p iù cauti, poiché la crescita dell’ex principale economia africana (oggi questo titolo va alla Nigeria) è rallentata dall’incertezza sulle riforme agrarie e sulle leggi minerarie, che diffi cilmente verrà risolta prima delle elezioni di maggio 2019. Al contempo, la politica fiscale è troppo espansiva, e il livello del debito sovrano sta aumentando. Inoltre, una vittoria elettorale marginale dell’African national congress potrebbe innescare sfi de di leadership all’attuale presidente e leader del partito, Cyril Ramaphosa. In Turchia, i rischi economici sono adesso più quantifi cabili, con il Pil uffi cialmente in recessione e il governo e la banca centrale preparati ad aff rontarne l’impatto sui default societari e sulle pressioni del settore bancario.

L’inflazione è ancora troppo elevata, sebbene non più ai livelli del 2018, e i rischi stanno aumentando in conseguenza delle misure sempre meno ortodosse adottate dal governo. Le elezioni locali previste per marzo 2019 potrebbero portare allo scoppio di tensioni interpartitiche. La Cina rimane, con l’India, il mercato più interessante. Sia Ftse Russell sia Msci hanno infatti annunciato piani per includere più azioni cinesi quotate sia a Shanghai sia a Shenzhen nei loro indici. Ciò avverrà a partire da maggio-giugno. Jackey Choi di Morningstar ritiene che l’aumento di peso, da 0,7% a 3,5% per Msci, sebbene ancora basso, sia un grande passo in avanti.

Ftse Russell, che ancora non aveva incluso le azioni di tipo A cinesi nei propri indici, andrà addirittura al 5,5%. Cosa che aumenterà sicuramente non solo l’attenzione verso questo mercato ma anche, e soprattutto, i fl ussi di cassa per comprare questi titoli. L’India si avvia a una nuova tornata elettorale, con le elezioni della camera bassa del parlamento (Lok Sabha) nell’aprile 2019. Il presidente Modi mantiene un consenso solido, intorno al 50%, ma la critica persistente da parte della popolazione per le perturbazioni fi nanziarie causate dalla politica di demonetizzazione di due anni fa, e le promesse non mantenute sugli investimenti infrastrutturali potrebbero vedere la maggioranza del partito Bjp scivolare nella Lok Sabha.

È probabile quindi un certo nervosismo preelettorale tra gli investitori. Se Modi dovesse superare indenne, o con pochi danni, le elezioni, potrebbe continuare con la politica di riforme, e colmare quei gap, soprattutto infrastrutturali, che ancora tengono indietro l’India ma che, al contempo, la rendono interessante per lo sviluppo che può ancora mostrare. Infi ne, ad aprile si terranno nuove elezioni anche in Indonesia, dove è probabile che il presidente Joko Widodo ottenga un secondo mandato considerato che il suo grado di consenso è attualmente elevato (70%). La crescita del Pil del paese potrebbe rallentare, dato che il governo e la banca centrale hanno adottato misure precauzionali per rallentare la domanda di importazioni e frenare i tassi di interesse interni nel caso in cui il sentiment globale degli investitori resti scarso.

La crescita del Pil dovrebbe restare leggermente inferiore al 5% (era del 5,2% nel 2018). Il Qatar, insieme all’Arabia Saudita, al Kuwait, agli Emirati Arabi Uniti e al Bahrain, da gennaio viene incluso da JPMorgan nei suoi indici obbligazionari sui mercati emergenti. Vengono coperti i bond tradizionali e i sukuk, ossia i bond islamici. Questo fatto, indubbiamente, proietta un faro di attenzione, e getta una luce migliore, sul reddito fi sso di queste nazioni. Al contempo, ne aff erma la migliorata appetibilità per gli investitori internazionali, visto che molte di queste nazioni hanno rating di livello A o superiore, e potenzialmente possono avere minore volatilità di altre emissioni emergenti.

A oggi, investire sui mercati emergenti è certamente la carta vincente per cercare quel surplus di performance che, nel lungo termine, cioè l’unico che dovrebbe interessare all’investitore, è in grado di creare la diff erenza tra un risultato positivo e uno negativo; ovviamente, bisogna tenere in conto che, a parità di investimento e lasso di tempo, investire in questi mercati è (molto) più rischioso, a causa, per defi nizione, di un’instabilità economico-sociale all’ordine del giorno.

A cura di Alessandro Ruocco

Non perdere le notizie che contano per gli investimenti.
Registrati alla nostra newsletter.