L’interventismo fiscale è finito negli USA?

L'interventismo fiscale è finito

Data la crescente possibilità di un rallentamento dell’economia statunitense causata da una Federal Reserve più aggressiva, rispetto al passato, l’interventismo fiscale è finito o il Congresso adotterà un approccio più sobrio?

Con l’aggravarsi delle crisi energetiche in Europa e nel Regno Unito e la crescente probabilità che l’eurozona e il Regno Unito vengano successivamente spinte in recessione, la politica fiscale sembra destinata ad entrare nuovamente in gioco, questa volta nel tentativo di smorzare l’impatto dell’aumento dei prezzi dell’energia e di mitigare l’impatto di un più ampio rallentamento.

Data la crescente possibilità di un rallentamento dell’economia statunitense a causa di una Federal Feserve più aggressiva, alcuni esperti si sono chiesti se la politica fiscale statunitense (o, in altre parole, la spesa pubblica e la politica fiscale) avrà lo stesso obiettivo di salvare la situazione in caso di recessione
dell’economia. Dopotutto, in risposta allo shock procurato dal COVID, gli Stati Uniti si sono affidati pesantemente alla politica fiscale, con il Congresso che ha approvato in soli 12 mesi circa 5.000 miliardi di dollari in una varietà di programmi di spesa pubblica e tagli fiscali/crediti per sostenere l’economia statunitense, spingendo la crescita del 2021 e facendo registrare i più bassi tassi di disoccupazione da decenni.

Eppure, così come la Fed ha rimosso il proverbiale punchbowl di politica monetaria accomodante, anche il Congresso probabilmente adotterà un approccio più sobrio ed è improbabile che segua le orme dei suoi alleati europei e britannici. Ciò è particolarmente evidente nel momento in cui i democratici entrano nella “silly season” delle elezioni di metà mandato, in cui hanno dovuto difendere il loro record di spesa pubblica e il suo possibile contributo all’inflazione, che continua a essere la principale preoccupazione degli elettori statunitensi in vista delle elezioni di metà mandato, secondo il sondaggio New York Times/Siena del 16 settembre.

Guardando oltre le elezioni di metà mandato ed al 2023, la principale conseguenza per l’economia statunitense è che l’asticella dell’intervento fiscale (ad esempio, l’estensione dell’assicurazione contro la disoccupazione, i trasferimenti fiscali diretti) è probabilmente molto più alta di quanto non lo sia stata di solito nell’affrontare le precedenti recessioni economiche – e probabilmente così rimarrà indipendentemente dall’esito delle elezioni di novembre – a causa della misura in cui l’inflazione è diventata una responsabilità politica.

Per chiarire: ci aspettiamo ancora di vedere un andamento sano di spesa discrezionale – la spesa annuale di routine per la difesa e le voci non legate alla difesa su cui il Congresso ha discrezionalità” – e non ci aspettiamo tagli alla spesa pubblica come abbiamo visto nel 2010 quando i repubblicani, ispondendo al movimento del Tea Party, hanno preso il controllo della Camera e hanno approvato il Budget Control Act (che ha temporaneamente tagliato la spesa discrezionale a circa il 6%-6,5%; ora è al 7,3% del PIL degli Stati Uniti nel 2022, secondo il Congressional Budget Office). Allo stesso tempo, però, non dovremmo contare sull’”intervento fiscale” che il Congresso ha fornito negli ultimi anni.

Riteniamo che ciò sarebbe particolarmente vero se si verificasse la nostra ipotesi di base per le elezioni di metà mandato, in cui i repubblicani riconquistano la Camera, e altrettanto vero se i repubblicani vincessero sia alla Camera che al Senato. In effetti, i repubblicani, in vista delle elezioni presidenziali del 2024, non saranno affatto disposti ad aiutare gli sforzi democratici per rilanciare l’economia nel 2023 e saranno probabilmente inclini ad adottare un approccio più ostruzionistico. Diversamente da quanto si possa pensare, assumere questa posizione è probabilmente più facile se i repubblicani controllano una sola camera del Congresso (ad esempio, la Camera) piuttosto che entrambe (Camera e Senato), poiché la paternità e la responsabilità politica delle misure economiche e dei loro risultati è più evidente se un partito controlla tutto il Congresso. In entrambi i casi, però, ci vorrebbe uno sviluppo drammatico e inaspettato per sbloccare il sostegno fiscale in uno scenario di governo diviso.

Nell’improbabile eventualità che il Congresso continui ad essere controllato dai democratici, ovvero che i Democratici riescano in qualche modo a mantenere sia la Camera che il Senato a novembre, l’asticella del sostegno fiscale sarà comunque alta in caso di rallentamento dell’economia. Perché? C’è stato molto nervosismo da parte di numerosi democratici moderati sulle dimensioni e la natura dell’American Rescue Plan (la legge sulla spesa pubblica da 2.000 miliardi di dollari approvata nel marzo 2021) in termini di aumento dell’inflazione statunitense, e molti democratici sono sempre più preoccupati per la crescente spesa per interessi sia sullo stock che sul flusso del debito statunitense, dato l’aumento dei tassi di interesse. Inoltre, molti democratici sono rimasti sconcertati dal fatto di non aver ricevuto maggiori benefici politici dai numerosi crediti d’imposta e spese incluse nell’ARP, anche in settori come l’estensione del credito d’imposta sui figli (una parte importante – e costosa – del pacchetto), nonostante la povertà infantile sia conseguentemente diminuita. Semmai, con un ipotetico Congresso democratico nel 2023-2024, potremmo assistere a un aumento delle tasse (cioè a un’inversione di alcuni dei tagli fiscali di Trump), il che equivarrebbe a una contrazione fiscale (anche se progressiva), ma, politicamente, anche questo potrebbe essere difficile.

In conclusione: Dopo alcuni anni intensi, gli Stati Uniti sono stati privati del punchbowl fiscale che, a nostro avviso, non tornerà tanto presto se e quando l’economia rallenterà, anche nell’improbabile caso in cui i democratici riescano a mantenere il controllo di Washington dopo novembre.

Commento a cura di Libby Cantrill, Head of US Public Policy di PIMCO

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