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La Federal Reserve spinge al rialzo i metalli e li fa brillare

I metalli hanno ricevuto una spinta al rialzo da Powell, che ha annunciato che i tassi resteranno bassi anche se l’inflazione dovesse superare il 2%

Articolo tratto dal numero settembre/ottobre di Asset Management.

Massimizzare l’occupazione Usa e raggiungere un’inflazione media del 2% nel lungo termine. L’annuncio del presidente della Fed, Jay Powell, del 27 agosto scorso segna uno dei più importanti cambiamenti di sempre per quanto riguarda la politica per la banca centrale americana. Un scelta sorprendente, scrive qualcuno. Irragionevole, secondo molti altri. In realtà si tratta di uno “scostamento” che non ha nulla di tutto questo. Perché la crisi finanziaria globale negli Stati Uniti ha tenuto quasi sotto terra i prezzi al consumo, ben al di sotto dell’obiettivo iniziale della Federal Reserve (e lo stesso si può dire degli altri istituti centrali, Banca Centrale Europea in primis). Con la pandemia, ecco che la situazione è ulteriormente peggiorata, con l’inflazione scesa a ridosso dello zero. Ci si è domandati a lungo, e lo si farà ancora, se questa drastica caduta dei prezzi sia da considerarsi una sorta di sconfitta per le banche centrali, incapaci evidentemente di mantenere e di raggiungere gli obbiettivi prefissati, per quanto il covid abbia, come detto, accelerato al ribasso un po’ tutto quanto (mica per niente il virus viene considerato da tutti un cosiddetto “acceleratore”). La verità è che la scelta di Powell ha sostanzialmente consolidato l’aspettativa, o come dice Mobeen Tahir, associate director research di WisdomTree, «la speranza dei mercati che la politica monetaria rimanga accomodante ancora per lungo tempo ». Tassi bassi più a lungo insomma, o per usare un’espressione proprio di Powell: «Lower for longer», a cui si vanno ad aggiungere rendimenti del tesoro ai minimi e dollaro molto debole. Tutto questo è il risultato dell’equazione di due fattori, i più importanti in questo momento: incertezza economica e, per l’appunto, politica accomodante. Talmente accomodante che per la prima volta, la Fed ha deciso di dare la precedenza all’andamento dell’occupazione rispetto alle dinamiche sui prezzi. In passato, se l’inflazione avesse superato il 2%, la contromossa immediata della Banca centrale sarebbe stata quella di alzare il costo del denaro «per non far surriscaldare l’economia», altra espressione dell’associate director di WisdomTree. In questo caso però non ci sarà nessuna contromossa almeno fino al 2023. Dunque, secondo quanto sostiene Tahir: «Gli effetti si dovrebbero tradurre nella prosecuzione della debolezza del dollaro contro tutte le principali valute e con la continuazione del ribasso dei tassi reali».

ORO
Ed eccoci arrivati così ai metalli preziosi. Oro, argento, rame, ma anche palladio e platino hanno ricevuto una grande spinta al rialzo dopo l’intervento di Powell. Ma ci sono buoni motivi per cui ci si può aspettare che acquisiscano ulteriore forza nel futuro. Tre, in particolare secondo il report di WisdomTree. La prima motivazione è la domanda di beni rifugio. Se il dollaro dovesse rimanere debole, gli investitori saranno interessati ad asset alternativi, essendo sempre alla ricerca di migliori riserve di ricchezza. Ed ecco perché metalli come oro, argento e platino sono e rimangono in prima linea per soddisfare queste esigenza. C’è poi anche una domanda fisica, e qui siamo alla seconda motivazione: se il biglietto verde è debole, la richiesta di materie prime tende ad aumentare, perché inevitabilmente più convenienti. E questo potrebbe alimentare ulteriormente la ripresa e il rally dei metalli industriali, proprio come il rame, il palladio ma anche l’argento. Il terzo motivo, aggiunge Tahir, è il seguente: «Con la ripresa dell’inflazione (che negli Stati Uniti sale oltre il 2%), la necessità di disporre di coperture efficaci contro l’inflazione che erode il valore del portafoglio diventerà ancora più importante. I metalli preziosi, in particolare l’oro e i panieri più ampi di materie prime, compresi i settori ciclici come i metalli industriali, saranno al servizio degli investitori, oltre che parte della loro asset allocation strategica”. Ecco dunque come il cambio di paradigma della Fed farà brillare i metalli. Una situazione estremamente positiva soprattutto per i prezzi dell’oro, che continuano a rimanere inseriti in un movimento ascendente di lungo periodo. Perché se da una parte la liquidità delle banche centrali garantisce discreta propensione al rischio nell’azionario, dall’altra i rischi legati alla pandemia di coronavirus sono tutt’altro che alle spalle, e il contesto di politiche monetarie ultra accomodanti con dollaro debole e tassi reali intorno allo zero, rafforzano la posizione di bene rifugio del metallo giallo. In questo senso, proprio eventuali correzioni al ribasso, senza causare sostanziali crolli dell’oro, potrebbero attirare nuovi compratori, che farebbero proseguire l’uptrend del prezioso, anche in virtù degli altri market movers che rappresentano un fattore di rischio, in primis la guerra commerciale tra Usa e Cina e la questione della Brexit. Una nuova età dell’oro dunque? Secondo Ned Naylor- Leyland, gestore metalli preziosi di Jupiter Am, per lungo tempo è stato «solo» una bizzarra asset class alternativa. Ora però potenziali flussi si stanno avvicinando sempre di più al settore, da ogni punto di vista. Si guarda all’oro innanzitutto per diversificare e proteggere il proprio potere d’acquisto. Inoltre gli investitori azionari globali agiscono in un ambiente negativo per molti settori, ma positivo per altri. Un esempio? Le azioni del minerario dell’oro e dell’argento, per dirne uno. Aggiunge Naylor-Leyland: «Una perfetta tempesta monetaria è in atto da molto tempo e ora è decisamente sopra di noi. Marginalmente, i capitali a livello globale stanno perdendo fiducia nel denaro emesso dai governi, e un lungo ciclo monetario sta raggiungendo il suo culmine. E questa non è una sorpresa per noi di Jupiter Am, poiché da tempo crediamo che l’oro fisico sia l’unico denaro veramente sano all’interno del sistema finanziario». Per l’analista, ciò che stiamo vivendo in ambito finanziario è una sorta di «apocalisse », nel senso più stretto di quella che è l’origine greca della parola «apokalypsis», che sta per «rivelazione», «svelamento ». Tutto questo vale per l’oro, ma anche per l’argento: i due metalli, si sa, sono strettamente correlati.

ARGENTO
Naylor-Leyland definisce l’argento «un fratello minore indisciplinato e scapestrato dell’oro». Molto sensibile ai flussi di capitale e che, nel 2011, quando i mercati erano in modalità whatever it takes (Draghi docet), aveva raggiunto i 50 dollari per oncia. E oggi i bilanci delle banche centrali sono molto più ampi rispetto a quelli di nove anni fa. Inoltre, da allora (e soprattutto dall’inizio degli anni Ottanta, quando abbiamo visto esaurirsi scorte di argento fisico) si sono trovati molti nuovi usi per l’argento. Per l’energia solare ad esempio. In campo medico, nell’elettronica e nel settore industriale (ad esempio quello automobilistico). Per non parlare infine dei titoli sempre più numerosi legati all’argento emessi anche da grandi banche, in Occidente e in Asia. «Un rialzo incontrollato », conclude l’analista di Jupiter Am, «è quello che potrebbe accadere, e a cui potremmo assistere, nei prossimi anni». La strada per chi investe in argento rimane lunga, come spiega Peter Kinsella, global head of Forex strategy di Ubp, la sua eccessiva volatilità estiva ha raggiunto vette insostenibili (fino a 30 dollari l’oncia) e sono probabili correzioni entro la fine dell’anno. Tuttavia, i segnali per il futuro sono estremamente positivi.

RAME
Discorso simile si può impostare per il rame. Come per l’oro e per l’argento, la sensazione è che il prezzo continuerà a crescere, ma per motivi, in linea di massima, molto diversi. Innanzitutto il rame viene considerato un po’ il metallo del futuro: è parte fondamentale nella costruzione delle auto elettriche, ma soprattutto è facilmente riciclabile, oltre a essere facilmente rintracciabile ed estraibile quasi ovunque. La versatilità insomma è una delle qualità più importanti del cosiddetto «oro rosso». Ma, come tutti i metalli, il suo prezzo (e il suo consumo) dipende da una serie di fattori specifici. Fitch Solutions aveva previsto una domanda globale di rame, prima del coronavirus, in aumento dai 23,6 milioni di tonnellate del 2018 a 29,8 milioni di tonnellate entro il 2027, per una crescita annua del 2,6%. Motivo di questo forte incremento della richiesta? La Cina, ovviamente. E l’aumento del consumo di rame dell’industria elettrica, oltre che, come detto, del numero dei veicoli elettrici. A tutti questi motivi in grado di innalzare il prezzo del rame ancora più in alto dei 3 dollari per libbra, livello attorno al quale l’oro rosso ha viaggiato tra agosto e settembre, ce n’è da aggiungere un altro altrettanto importante: la crescita di un’economia sostenibile non potrà prescindere da una materia prima come il rame, la cui richiesta crescerà a un ritmo ancora più rapido. Dicevamo della pandemia: è stata ed è tuttora un freno per qualunque tipo di attività produttiva, e il rame non fa eccezione. Ma è solo di questo che si parla: un freno. O se vogliamo un rallentamento, da considerare in un lasso di tempo relativamente breve. John Plassard, investment specialist del gruppo Mirabaud, spiega che il 2020 rappresenta un anno transitorio. Dopo una prima spirale negativa dei prezzi a causa dell’esplosione della pandemia, la fiducia verso la ripresa, nutrita in qualche modo sia dalle banche centrali sia dalla conclusione dei vari lockdown, ha restituito energia al prezzo del rame, che è andato a riportarsi anche al di sopra dei valori pre-covid. Molto dipenderà da quella che possiamo considerare una terza fase, determinata da alcuni fattori legati alla stretta attualità: innanzitutto il recovery plan europeo e l’incentivo all’acquisto di veicoli elettrici. Poi il lancio di un piano infrastrutturale statunitense, che venga sostenuto sia da Joe Biden sia da Donald Trump. Infine: l’aumento degli aiuti all’industria da parte del Dragone. Dopo un iniziale consolidamento del prezzo del metallo rosso a causa delle tensioni tra Pechino e Washington (ma anche dalla seconda ondata di coronavirus), la crescita del rame è destinata a riprendere, trainata anche dai piani di stimolo dell’Unione europea, degli Stati Uniti e della Cina, indirizzati soprattutto sulle infrastrutture e sugli incentivi per l’acquisto di auto nuove (soprattutto elettriche). Ecco perché dal prossimo anno, stime di crescita più elevate saranno di nuovo al centro delle prossime previsioni sul metallo rosso. Tenendo in considerazione quelli che per Plassard rimangono i 5 fattori specifici da tenere a mente sul rame. Il primo, lo sviluppo economico: la domanda di questa materia prima tende a essere sensibile all’economia, fondamentale nel settore delle costruzioni e nei beni di consumo come le automobili e l’elettronica. Se l’economia mondiale rallenta, rallentano gli indici, perché la propensione al rischio cala. Ma la stessa cosa accade per la domanda di rame, e questo ovviamente va pesare sui prezzi. Secondo punto: l’economia cinese. È il più grande paese consumatore di rame al mondo, con quasi la metà del totale nel 2019. Se il Dragone rallenta, l’impatto sul prezzo del metallo rosso diventa inevitabilmente significativo. Quarto punto: gli scioperi di chi lavora nell’estrazione. Il rame proviene dalle miniere e negli ultimi 10 anni, l’industria mineraria ha assistito a sei grandi momenti in cui i minatori hanno deciso di incrociare le braccia. L’aspetto ambientale, come detto, è a sua volta molto importante nel determinare il prezzo dell’oro rosso. Ma al di là della futura crescita sostenibile, un ruolo chiave è quello dei governi, in quella che è la regolamentazione dell’industria mineraria. L’obiettivo? Fare in modo che le industrie di estrazione non distruggano l’ambiente e non sfruttino le popolazioni locali. Infine, occhio alla scarsità di miniere: l’incremento della domanda di rame è tale che l’industria deve trovare nuove fonti naturali. Ma le nuove miniere sono costose: affinché siano redditizie, la stima è che il prezzo del rame debba essere tra gli 8 e i 10 dollari per libbra. Naturalmente i minatori possono anche contare sull’espansione di una miniera esistente, ma questo riduce notevolmente le prospettive di crescita.

Commento a cura di Giacomo Iacomino

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