Inflazione, guerra, materie prime: per gli investitori è tempo di una “investing review”

I governi europei stanno adottando misure per alleviare il peso del rincaro stellare delle bollette su imprese e famiglie, gli Stati Uniti hanno promosso l’”Inflation Reduction Act”, ma il rincaro dei prezzi fa sentire tutta la sua iniquità soprattutto in America Latina, dove si stima che un terzo della popolazione rientri nei criteri internazionali della povertà, 1,90 dollari al giorno.
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Come nel “Racconto di due città” di Dickens, in questo tragico tempo di guerra si alternano “la primavera della speranza e l’inverno della disperazione”, dalla pandemia in avanti si sono susseguiti shock che si sono stratificati, le catene delle forniture e il sistema delle imprese sono stati fortemente danneggiati e oggi, dopo “il terremoto, la tremenda inondazione e le cavallette”, siamo alle prese con l’ultima piaga, l’inflazione che flirta con valori non visti da quarant’anni.

I governi europei stanno adottando misure per alleviare il peso del rincaro stellare delle bollette su imprese e famiglie, gli Stati Uniti hanno promosso l’”Inflation Reduction Act”, ma il rincaro dei prezzi fa sentire tutta la sua iniquità soprattutto in America Latina, dove si stima che un terzo della popolazione rientri nei criteri internazionali della povertà, 1,90 dollari al giorno. Le due parole che caratterizzano l’aumento dei prezzi sono iniquità e illusione monetaria, l’errore di valutazione che prende in considerazione il valore nominale del denaro e trascura la sua capacità di acquisto dei beni.

La correttezza della risposta delle politiche monetarie è stato il maggior motivo di inquietudine dei mercati finanziari nell’ultimo anno, una preoccupazione condivisa dalla Banca Mondiale che teme il rischio di un “eccesso di reazione” dei banchieri centrali che potrebbe innescare, nel 2023, una recessione definita senza troppi giri di parole “devastante”.

Carlo Benetti GAM inflazione
Carlo Benetti, Market Specialist GAM

Come Londra e Parigi, le due città del romanzo di Dickens, l’inflazione divide la città dove vivono coloro che perdono da quella di coloro che vincono, Divide anche la città dove i prezzi crescono non per l’eccesso di domanda ma per il maggior costo della bolletta energetica: a questa “città” fa riferimento la Banca Mondiale che esorta i governi a intervenire con misure specifiche indirizzate alla “città dei perdenti”, affinché il peso dell’emergenza non resti tutto sulle spalle dei banchieri centrali.

Tra i perdenti ci sono anche i mercati finanziari. La settimana scorsa è stata una delle peggiori degli ultimi mesi, il -4,3% della borsa americana il 13 settembre scorso ha ricordato il -4,7% del 15 settembre di quattordici anni fa.

La storia non si ripete, e la storia di oggi è molto diversa da quella del 2008, ma spesso fa rima. Il dato di inflazione di agosto è stato acqua sul fuoco dell’entusiasmo e ha spazzato via l’idea che la Federal Reserve possa sollevare, sia pure di poco, il piede dall’acceleratore. Adesso non si esclude un incremento di 100 punti percentuali nella riunione di questa settimana, i futures sui fondi federali prezzano un incremento del tasso di riferimento a 4,4% entro il prossimo marzo.

Eppure, per quanto sia stato allarmante il dato di agosto, il picco dell’inflazione americana è ancora quello di giugno, è presto per il segnale “Ok, Panic”. Le lancette dei mercati sono tornate al 2020 solo per poche ore. Il giorno seguente i listini avevano già digerito il boccone dell’inflazione “core” al 6,3% ed erano di nuovo alla ricerca di nuovi spunti.

A proposito di storia che non si ripete, ci sono enormi differenze tra il contesto inflazionistico degli anni Ottanta e quello di oggi, tempo di tassi storicamente bassi e di attese di bassa inflazione futura. I dati dell’inflazione americana non riflettono, come negli anni Ottanta, contrazioni nell’offerta di lavoro o tensioni salariali, i mercati sono attenti ma non ancora spaventati da un cambiamento di regime sui prezzi, i tassi swap a cinque anni scontano un’inflazione di poco superiore al 2%.

Nel lungo termine, storicamente, il rendimento reale è difeso dall’investimento azionario. Rimane improbabile riuscire a individuare in anticipo i massimi e i minimi, ma chi ha pazienza e nervi saldi può cominciare a guardare ai governativi e ai titoli Investment Grade americani. Anche i BTP a dieci anni, con un rendimento nominale arrivato attorno al 4%, offrono un rendimento reale di circa il 2%.

Quando sembra che “la stagione della follia” prevalga su quella della saggezza, è impervio ragionare sul lungo periodo, ciò nondimeno gli investitori devono sforzarsi a non lasciarsi sopraffare dall’emotività causata dai bruschi movimenti del breve termine. Ricordiamo che il mercato azionario è, fondamentalmente, il luogo del finanziamento delle aziende che a loro volta sono il motore della creazione della ricchezza che, nel lungo periodo, cresce costantemente.

In questo tempo di contraddizioni i mercati finanziari si trovano in un contesto completamente nuovo, i risparmiatori dovrebbero condurre non una “spending” ma una “investing review” del loro portafoglio, verificare la coerenza dei loro investimenti con il nuovo contesto di mercato.

A cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM (Italia) SGR

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