Fed
Share on linkedin
Share on email
Share on twitter
Share on facebook
Share on whatsapp

Fed, ecco perché nel 2020 non ci sarà alcun rialzo dei tassi

I tre tagli della Fed nel 2019 hanno sorpreso chi riteneva che la politica monetaria sarebbe stata determinata dal tasso di disoccupazione o dai mercati finanziari

Nel 2019 la Fed ha sorpreso praticamente tutti decidendo di tagliare i tassi per tre volte consecutive, nonostante un’economia americana tutto sommato stabile, con tasso di disoccupazione in calo e mercati azionari in crescita. I tagli dell’anno scorso hanno dimostrato, a nostro parere, che l’inflazione ha oggi un ruolo chiave nelle politiche della Banca Centrale americana, come mai lo aveva avuto negli ultimi due decenni.

Questo focus sull’inflazione ha portato infatti la Fed verso una strategia di “compensazione”, con la quale l’Istituto cercherebbe di bilanciare periodi di inflazione inferiore al 2% con periodi di inflazione superiori al 2%. Una strategia di questo tipo comporta che l’asticella per futuri rialzi sia ora fissata piuttosto in alto. Inoltre, nel 2019 la Fed ha dimostrato quanto sia disposta a usare le leve di politica monetaria per sostenere il suo obiettivo di inflazione. Ciò significa che non si può escludere un ulteriore allentamento della politica monetaria e, anzi, diventerebbe sempre più probabile qualora l’inflazione non aumentasse secondo le aspettative della Fed.

Nel corso del 2019 sono state avanzate anche altre possibili spiegazioni dei tagli della Fed: si è parlato di “tagli di assicurazione”, o di reazione al rallentamento globale dell’economia. Ma queste altre spiegazioni, dal nostro punto di vista, non sono convincenti, e il legame tra inflazione e riduzione dei tassi è diventato sempre più evidente nel corso dell’anno. Certo, gli stessi funzionari della Fed hanno fornito una serie di spiegazioni confuse per le loro mosse, trovando spesso conveniente citare più cause allo stesso tempo. Tuttavia, con l’ultimo taglio dei tassi di ottobre, le altre possibili ragioni sono scemate, lasciando sul tavolo solo la crescente preoccupazione per la bassa inflazione. In quella riunione la Fed ammise che l’incertezza sugli eventi globali era diminuita e che la crescita degli Stati Uniti continuava a essere piuttosto robusta, eppure tagliò comunque i tassi.

Come detto prima, il focus sull’inflazione sta anche modellando il modo in cui la Fed intende condurre la propria azione in futuro, con la possibilità di adottare una strategia di “compensazione”, citata recentemente da alcuni esponenti della Fed. I dettagli di questa strategia sono tuttora oggetto di dibattito e potrebbero essere necessari alcuni mesi prima che venga annunciata nel dettaglio come politica ufficiale della Fed.

Nonostante ciò, sarebbe un errore aspettare un annuncio ufficiale prima di includere questa strategia nelle proprie considerazioni per il 2020. In effetti, analizzando le sue recenti dichiarazioni, sembra che Powell abbia già adottato questo tipo di approccio. Nelle sue due ultime conferenze stampa, il presidente della Fed ha affermato che per aumentare i tassi dovrebbe vedere “un significativo e persistente aumento dell’inflazione.” Sapendo che la misura di inflazione preferita dalla Fed è il PCE Core (all’1,6%), sembra corretto pensare che solo un rialzo al di sopra del 2% potrebbe essere considerato come “realmente significativo”.

La conclusione importante è che la strategia di compensazione di Powell pone degli standard eccezionalmente alti per i futuri rialzi dei tassi. Sulla base delle sue dichiarazioni, sembra ragionevole presumere che per giustificare un aumento dei tassi il PCE si dovrebbe attestare a valori uguali o superiori al 2,2%, per almeno sei mesi. Si tenga a mente che la volatilità annuale del PCE core negli ultimi 20 anni è stata dello 0,6%. Sulla base di questi presupposti e della volatilità storica dell’inflazione, esiste una probabilità inferiore al 7,5% che i criteri di Powell possano essere soddisfatti entro la fine del 2020 (grafico).

Poiché non crediamo che l’inflazione sia destinata a superare a breve la soglia del 2%, e visti i criteri fissati da Powell per potenziali rialzi, riteniamo improbabile che la Fed effettui dei rialzi quest’anno. Anche se l’inflazione dovesse aumentare leggermente o persino superare le nostre aspettative e raggiungereil 2% l’anno prossimo, ciò sarebbe ancora insufficiente per generare una risposta della Fed.

Conclusioni
I tre tagli della Fed nel 2019 hanno sorpreso chiunque riteneva che la politica monetaria sarebbe stata determinata principalmente dal tasso di disoccupazione o dai mercati finanziari. Simili aspettative erano comprensibili – dopo tutto, avevano descritto accuratamente il comportamento della Fed nei due decenni precedenti – ma si sono dimostrate più che inesatte nel 2019.

Al contrario di molti investitori, nel 2019 Western Asset è riuscita a posizionarsi correttamente rispetto al comportamento della Fed, proprio perché abbiamo compreso molto presto il nuovo focus sull’inflazione. Nel 2020, riteniamo che la probabilità di un rialzo dei tassi sia decisamente bassa. Non è possibile invece escludere del tutto ulteriori tagli, soprattutto se l’inflazione continuerà a “sfidare” la Fed rimanendo ben al di sotto del 2%.

Commento a cura di John Bellows, Portfolio Manager di Western Asset, affiliata Legg Mason

Non perdere le notizie che contano per gli investimenti.
Registrati alla nostra newsletter.