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Nel 2019, occhi puntati sugli scambi commerciali

In quello che si è rivelato un 2018 deludente, i listini azionari hanno registrato un calo significativo. Nonostante la crescita degli utili abbia superato il 20% negli Stati Uniti (e circa il 10% nel resto del mondo sviluppato), il mercato azionario statunitense è rimasto essenzialmente piatto, mentre gli altri mercati sviluppati hanno perso il 10% circa in termini di dollari USA, annullando così la solida performance del 2017.

Perché? Per il timore di diverse cose: una vera e propria guerra commerciale, l’aumento dei rendimenti, una decelerazione della Cina e l’acuirsi dei rischi geopolitici, comprese criticità locali quali la Brexit e il braccio di ferro sul bilancio italiano. La combinazione di tutti questi fattori ha destabilizzato i mercati e causato una flessione delle azioni.

Se queste previsioni dovessero realizzarsi in tutto o in parte, le nostre aspettative di crescita per il 2019-20 sarebbero messe in discussione, e ciò a sua volta potrebbe suggerire che ci troviamo alla fine del ciclo, cosa che sarebbe confermata dalla correzione azionaria. Ma tutto questo fa sorgere una domanda fondamentale: precisamente cosa riteniamo che accadrà nel 2019?

Demolire i timori
Scambi commerciali

Gli scambi commerciali sono il principale dei nostri timori e sono il filo conduttore che lega tutti gli altri. Se l’attuale situazione di stallo dovesse risolversi, le prospettive più generali migliorerebbero, e viceversa. Nella peggiore delle ipotesi i dazi continueranno ad aumentare e a gravare su un numero crescente di merci. I mercati scontano certamente uno scenario alquanto sfavorevole.

Ma questo accadrà davvero? Con un personaggio talmente imprevedibile alla Casa Bianca, fare previsioni è una battaglia persa in partenza. Tuttavia, in passato il Presidente Trump ha affermato di preferire una situazione caratterizzata da dazi limitati o nulli, ma ha scelto la strada delle minacce al fine di ottenere accordi vantaggiosi per gli USA, e alla fine è stato di parola. Ciò nonostante, proprio com’è avvenuto per il North American Free Trade
Agreement 2.0 (l’USMCA, siglato in extremis da USA, Messico e Canada in un momento in cui ogni accordo sembrava improbabile), una risoluzione analoga con la Cina e altre nazioni appare decisamente possibile.

Siamo consapevoli che a fine 2020 si terranno le elezioni presidenziali statunitensi, e Trump non vorrà rischiare un brusco rallentamento dell’economia o una recessione con l’approssimarsi del ciclo elettorale. Ciò non significa che Trump debba appianare le tensioni commerciali immediatamente, ma dovrà probabilmente assicurarsi che la situazione non si deteriori nel corso del 2019.

Nel nostro scenario di riferimento l’esito più sfavorevole dal punto di vista commerciale è poco probabile e una rapida via di risoluzione è possibile, benché sia difficile stabilire i tempi.

Tassi d’interesse

Quest’anno i rendimenti obbligazionari statunitensi hanno superato la soglia del 3% e il timore è che nel 2019 si registreranno ulteriori aumenti.2 Le misure di stimolo fiscale approvate negli Stati Uniti a fine 2017 e implementate quest’anno, in una fase del ciclo che non richiedeva impulsi ulteriori, suggerirebbero che i rendimenti potrebbero salire ancora.

Ciò dovrebbe avere un effetto inflazionistico, soprattutto se abbinato a un tasso di disoccupazione statunitense ai minimi da 49 anni,3 che potrebbe causare richieste di aumenti salariali e maggiore inflazione (indicazioni di salari in aumento sono ben evidenti negli USA e in Giappone). Tutti gli altri timori concorrono tuttavia a causare un rallentamento, unitamente a problemi strutturali quali l’invecchiamento demografico, la tecnologia e l’innovazione dirompente, ragion per cui i rendimenti non sono andati nella direzione che ci aspettavamo.

Qualora la questione commerciale dovesse risolversi, il potenziale rafforzamento della crescita potrebbe darci qualche motivo in più per temere un lieve rialzo dei rendimenti obbligazionari nei prossimi 12 mesi; in caso di mancata risoluzione, tuttavia, non ci aspetteremmo un aumento dei rendimenti.

La Cina e i mercati emergenti

Le frizioni commerciali hanno causato rallentamenti in alcune aree dei consumi cinesi, ma la crescita rimane ancora ragionevolmente vigorosa. Il governo cinese ha fornito un certo grado di stimolo fiscale, anche se più con l’obiettivo di sostenere l’economia che di darle un impulso significativo. Se la questione commerciale dovesse risolversi, potremmo aspettarci l’adozione di nuove misure restrittive in Cina o quantomeno una rimozione dello stimolo. Se invece il braccio di ferro dovesse protrarsi, possiamo aspettarci che le politiche accomodanti a sostegno dell’economia continueranno.

Riteniamo tuttavia che, nonostante l’impatto esercitato, al momento le politiche protezionistiche non stiano destabilizzando in misura significativa l’economia globale.

Ad averne risentito nel corso dell’anno sono stati soprattutto i mercati emergenti. La ragione risiede in parte nella forza del dollaro statunitense, che dovrebbe tuttavia diminuire una volta svanito l’effetto dello stimolo fiscale di Trump, con conseguenze favorevoli per le azioni dei mercati emergenti in futuro.

Fattori geopolitici

Al momento attuale diversi paesi sono guidati leader assertivi e carismatici: Trump, Vladimir Putin, Xi Jinping e persino Shinzo Abe, che sembra mostrare tendenze più nazionaliste. Quando leader carismatici ricorrono alle minacce per raggiungere i propri obiettivi le tensioni inevitabilmente aumentano, ed è naturale che i premi al rischio azionario aumentino di conseguenza.

Ancora una volta, però, se la questione commerciale dovesse risolversi, alcune tensioni finirebbero probabilmente per attenuarsi. È comunque del tutto possibile che nel corso del prossimo anno sorgano altri problemi imprevisti, dalla sicurezza informatica a elezioni destabilizzanti, che non farebbero altro che accrescere le tensioni tra gli Stati.

In Europa continuano a ribollire due questioni in particolare che potrebbero destabilizzare i mercati, seppur in misura minore rispetto a una guerra commerciale globale. In Italia la battaglia sulla legge di bilancio potrebbe inasprirsi, seppur inutilmente, in quanto riteniamo che i margini rivendicati dal governo italiano e dalla Commissione Europea siano minimi.

La questione Brexit invece è sempre più intricata: vi sono parecchi esiti possibili e altrettanti modi di ottenerli. In tutta onestà però non siamo in presenza di un problema globale, ma di un grattacapo per il Regno Unito e di un contrattempo per l’Europa. Tuttavia, le conseguenze a livello locale rischiano di essere deleterie.

I timori in sintesi

Considerando tutti i fattori citati, il tema comune che terremo d’occhio più da vicino nel 2019 è il commercio. Riteniamo che un miglioramento in quest’ambito costituirebbe uno sviluppo estremamente favorevole per i mercati azionari; per contro, questi ultimi risentirebbero di un eventuale deterioramento dei rapporti commerciali, e lo scenario globale ne uscirebbe indebolito.

Secondo il nostro scenario di riferimento ci troviamo in una fase avanzata del ciclo, ma non crediamo che la fine sia imminente. Notiamo che l’Europa e il Giappone hanno registrato tassi di espansione modesti nel corso di questo ciclo, e sebbene gli USA abbiano evidenziato una crescita leggermente più sostenuta, siamo restii a parlare di un picco dato che le prossime elezioni statunitensi si terranno nel 2020 ed è nell’interesse del Presidente che il ciclo elettorale coincida con una fase di crescita per gli Stati Uniti.

Se le diatribe commerciali saranno gestite in modo da evitare lo scenario peggiore, cosa che i leader mondiali hanno il potere di fare, le prospettive per il 2019 potrebbero risultare più favorevoli, con conseguenti risultati positivi nei mercati azionari.

A cura di William Davies, Responsabile azionario globale, EMEA di Columbia Threadneedle Investments

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