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La fine del Quantitative Easing: il contesto e la reazione dei mercati

Il programma di acquisto di obbligazioni da parte della Bce, il cosiddetto Quantitative Easing, terminerà a partire da gennaio. Da ottobre a dicembre l’acquisto di titoli scenderà da 30 a 15 miliardi al mese.

La Bce continuerà a reinvestire quanto incassato dai bond acquistati giunti a scadenza “per tutto il tempo necessario per mantenere condizioni di liquidità favorevoli e un ampio grado di accomodamento monetario”. La misura è inoltre “condizionata” ai dati che arriveranno nei prossimi mesi.

In pratica si tratta della fine degli acquisti netti, ovvero dell’immissione di nuova moneta, ma lo smantellamento delle politiche di sostegno non inizierà per un altro anno. La decisione arriva in un momento nel quale l’economia dell’Eurozona dà segnali di rallentamento: nel primo trimestre il Pil è sì cresciuto ma meno delle aspettative, dello 0,4% rispetto allo 0,7% del trimestre precedente. Le vendite al dettaglio hanno registrato una crescita dello 0,1% rispetto allo 0,4% del trimestre precedente. Dopo un anno molto positivo, dunque, l’economia Europea sembra aver perso trazione, scontando anche una maggiore incertezza legata al quadro politico e al contesto internazionale. Nonostante il contesto, le decisioni politiche della Banca Centrale sul Programma di Acquisto Asset sono state in linea con le attese della maggior parte degli operatori, che si erano riflesse sulle valutazioni dei bond nelle scorse settimane.

A quasi 10 anni dal fallimento di Lehman Brothers, il Quantitative Easing, lo strumento attraverso il quale la Bce ha probabilmente salvato l’Eurozona intravede il traguardo, ma questo non vuol dire che il blocco entrerà in una fase di stretta monetaria.

Nella visione della Bce, se da una parte l’incertezza relativa alla dinamica inflazionistica si sta dissipando, dall’altra assistiamo a un aumento dell’incertezza relativa al risultato economico. Lo scenario internazionale, inoltre, è costellato da nuove sfide geopolitiche e per l’Eurozona sembra difficile ripetere la performance commerciale del 2017. Questa visione si è trasmessa nelle previsioni riguardo a inflazione e crescita: le stime riguardo la prima sono state abbassate, mentre quelle sulla crescita del livello dei prezzi sono aumentate dall’1,3% all’1,7% (mentre per il 2018 e 2019 sono rimaste invariate a 1,7%).

Per queste ragioni Draghi ha voluto sottolineare, attraverso l’esegesi del suo stesso comunicato, come il Board abbia ricorso alla opzionalità in gran parte delle sue decisioni. I tassi “rimarranno invariati almeno fino a giugno 2019” e la riduzione del QE è “soggetta ai dati economici che saranno prodotti nei prossimi mesi.” Nessuno ovviamente si aspetta che l’Eurotower faccia una clamorosa giravolta (a meno di un deterioramento netto del quadro economico determinato da uno shock esterno). Lasciandosi aperte varie strade, la Bce vuole mettere nero su bianco l’esistenza di un dibattito interno riguardo al contesto economico.

I mercati hanno festeggiato le scelte di Draghi. A pesare è stato probabilmente l’annuncio delle tempistiche del rialzo dei tassi. Si tratta della prima volta in assoluto in cui la Bce offre un cronoprogramma della propria strategia. Prima dell’annuncio, un rialzo dei 10bp a giugno 2019 aveva il 76% delle possibilità (ora secondo i mercati le possibilità sono al 30%). Le tempistiche scelte dimostrano che Francoforte ha ben chiaro che la dinamica di convergenza dell’inflazione verso i target non abbia vita propria ma sia ancora sostenuta in gran parte dalle misure di politica monetaria.

Per questo la Bce fermerà l’espansione monetaria, ma ha rimandato di almeno 15 mesi il rialzo dei tassi. Tramite il reinvestimento di quanto ricavato dai bond mandati a scadenza, continuerà inoltre a sostenere l’economia per tutto il tempo necessario. Il significato dell’annuncio è che almeno per un anno di tempo la politica monetaria continuerà a essere accomodante.

Questa mossa dà respiro a tutte le principali asset class dell’Eurozona, che dall’inizio dell’anno avevano cominciato a risentire del contesto economico in graduale deterioramento e dell’incertezza politica. In vista della lunga campagna elettorale europea che infiammerà il continente la prossima primavera, questa è sicuramente una buona rassicurazione per i mercati. L’Euro, che probabilmente resterà nel medio periodo non lontano dalle valutazioni attuali, potrebbe favorire chi ha optato per strategie diversificate globalmente. Di converso nessuno, tantomeno i mercati finanziari, apprezza uno scenario con un’inflazione in forte rialzo e una crescita economica bassa, e questa tendenza suona come un seppur flebile campanello d’allarme per tutti gli investitori.

A cura di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm

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