cultura finanziaria
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Meno tecnicismo e più cultura finanziaria per il salto di qualità

I concetti sui quali si è finora basata l’educazione finanziaria in Italia sono quelli di alfabetizzazione e di finanza comportamentale. Il primo esalta la diffusione della conoscenza dei prodotti, dei mercati e delle tecniche finanziarie. Il secondo invece si sofferma sulle motivazioni psicologiche di fondo che sono alla base delle scelte.

I sostenitori dell’alfabetizzazione finanziaria quindi basano il loro programma educativo su una serie interventi intesi a colmare carenze e lacune. Gli altri invece partono dalla consapevolezza dell’esistenza di certe reazioni a determinati fenomeni che vanno comprese, interpretate ed, eventualmente, corrette. Ma in definitiva la differenza che c’è tra alfabetizzazione, finanza comportamentale da un lato e cultura finanziaria dall’altro è la stessa che c’è tra manipolazione in senso positivo e sviluppo diffuso di capacità critica. Le stesse considerazioni valgono anche per la cosiddetta spinta gentile, o paternalismo libertario teorizzato negli Stati Uniti dall’economista Richard Thaler, vincitore del premio Nobel per l’economia nel 2017.

Tutte idee che si sviluppano da una matrice comune: e cioè che il risparmiatore, non essendo al corrente di tutte le conoscenze utili e indispensabili per una scelta corretta vada istruito in modo nozionistico e guidato nel suo percorso di investimento. Oggi però l’evoluzione tecnologica consente con una certa rapidità di raggiungere un maggiore livello di conoscenza in grado di sviluppare capacità critiche di analisi. Di conseguenza il mercato evolve verso un rapporto di consulenza diverso, più evoluto e olistico che possa garantire un valore aggiunto più elevato.

Un tipo di consulenza basata sulla diffusione di una cultura orientata alla qualità e ai contenuti che va oltre i concetti di educazione finanziaria e di finanza comportamentale giudicati ormai troppo ristretti rispetto a una realtà tecnologicamente più avanzata. Un passo necessario che in Italia sembra manchi ancora per via di un atavico pensiero dominante che divide la società in due parti: da un lato gli esperti (pochi e istituzionali) e dall’altro la gran massa di individui e famiglie in preda all’emotività alla quale vengono fornite nozioni e presentate scelte di investimento sulla base di prevedibili modelli di comportamento.

Un’idea ben radicata nella nostra società che spinge in non pochi casi a spendere tempo e risorse in iniziative esteticamente gradevoli ma poco efficaci. Iniziative cioè che non aiutano le persone a comprendere quanto sia diversa la nuova vita e quanta stabilità economica ci voglia per affrontarne il cammino in modo positivo e costruttivo. Mentre oggi si fa sempre più pressante e forte la spinta a intraprendere quel salto culturale necessario a comprendere i principi su cui è basata l’economia reale. Un salto che ha bisogno di una preparazione generale oggi assolutamente carente, che sfati molti miti e speranze di automatismi nello sviluppo armonico dell’umanità per edificare non una società utopistica in cui tutti siano esperti nelle tecniche ma una società in cui tutti siano in grado di valutare i rischi e le opportunità

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