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FinTech Save the Queen: se le PMI britanniche arginano il rischio hard Brexit con l’invoice trading

L’invoice trading può salvare le imprese britanniche dal collasso Brexit? Quel che è certo è che sono sempre di più le PMI inglesi che si rivolgono all’anticipo fatture digitale per trovare capitali freschi e in qualche modo arginare i danni un’hard exit dall’UE.

Non è un caso che secondo l’Asset Based Finance Association (che rappresenta le imprese dell’invoice trading e del lending), l’erogato alle PMI sia aumentato del 60% anno su anno.

Perché le imprese britanniche abbiano bisogno di più liquidità è facile spiegarlo. Una hard Brexit avrebbe tre effetti disastrosi: il primo, un calo del Pil stimato fino all’8% dalla Bank of England, e fino al 10% da fonti diverse, come il Center for Economic Performance della London School of Economics e l’Ocse. Insomma, parliamo di un danno peggiore di quello causato dalla crisi dei mutui subprime del 2008 in Usa.

Il secondo, il crollo della sterlina – con tutti i maggiori costi che le imprese dovrebbero sostenere per approvvigionarsi dai mercati esteri, per esempio. Il terzo, una stretta del credito da parte delle banche tradizionali, obbligate a rivedere i criteri patrimoniali per non collassare a loro volta.

In assenza di un periodo di transizione con un accordo che consenta al Paese di beneficiare ancora del libero scambio con l’Europa, le imprese dovrebbero tornare a commerciare nella cornice delle regole del WTO, che comporterebbero maggiori tariffe e un aumento generalizzato dei costi. Per sopravvivere e conservare flussi di cassa sani, saranno quindi obbligate a cercare fonti di finanziamento alternative. Sono necessari strumenti flessibili, veloci e che non richiedano requisiti minimi di fatturato: proprio come l’invoice trading.

I colossi internazionali, intanto, fuggono: l’ultimo in ordine di tempo è Nissan, che ha annunciato l’intenzione di spostare la produzione del fuoristrada X Trail in Giappone, mettendo in ginocchio Sunderland, cittadina nel nord dell’Inghilterra, la cui economia di fatto dipendeva dalla fabbrica di produzione di quel Suv.

Tuttavia, l’economia britannica, come ogni economia europea, si regge su uno scheletro portante le cui ossa sono le PMI: è proprio la strategia che condurranno queste che farà la differenza. Le PMI rappresentano il 99,3% dell’economia britannica, occupano il 60% di tutti i lavoratori del Regno e producono un fatturato di 2 trilioni di sterline (il 52% del totale).

Le PMI inglesi stanno cercando di mettere in atto piani per affrontare un’eventuale crisi: secondo un sondaggio di CBI, la principale associazione di categoria dell’industria britannica, oltre la metà di tutte le imprese UK ha, a inizio anno, cercato di analizzare tutte le possibilità della Brexit e il 60% ha già elaborato azioni di emergenza per uno scenario no-deal. Inoltre, per la metà delle aziende, i costi più pesanti risulterebbero quelli legati al reperimento di risorse interne o esterne per la gestione delle nuove regole sul commercio.

Non solo. Le aziende manifatturiere locali stanno incrementando le scorte per proteggersi da un’eventuale volatilità dei prezzi. L’indice PMI UK che misura l’andamento degli ordini dell’industria manifatturiera staziona infatti costantemente sopra la soglia di 50, che indica crescita: a gennaio a 52,8, dopo il 54,2 di dicembre e il 53,6 registrato a novembre. Insomma, nonostante i beni importati siano diventati più costosi a causa di una sterlina più debole, i produttori preferiscono accumulare scorte nei magazzini per poter tener fede agli ordini (ed evitare il rischio di pagare sempre di più con le attese di una valuta sempre più fiacca).

L’aumento dei costi associati al no-deal e delle scorte determina un incremento del working capital che necessita di essere finanziato: non è un caso che i prestiti alle imprese siano aumentati dell’8,4% nell’ultimo anno al dicembre scorso, a quota 17,9 miliardi, a fronte di una contrazione dello 0,3% dell’indebitamento complessivo nel Regno Unito nello stesso periodo, secondo i dati di UK Finance, l’associazione che rappresenta le banche del Paese. E le imprese sono a caccia di ulteriori prestiti sul capitale circolante per non trovarsi sfornite nel caso in cui le banche diventassero più prudenti.

Si tratta di un’occasione d’oro per l’invoice trading, ma anche di un bene, in generale, per l’economia: secondo la società di consulenza Equiniti esiste una stretta correlazione tra livello di indebitamento delle imprese e l’aumento del Pil. Come noi di Workinvoice abbiamo già avuto modo di sottolineare, più le imprese ricorrono all’invoice trading più mostrano fiducia nell’economia e, di conseguenza, investono e contribuiscono al suo sviluppo.

Quanto sia rilevante lo sviluppo di forme alternative di supporto al working capital delle PMI è dimostrato anche dal recente deal tra Barclays e MarketInvoice, la più grande piattaforma di invoice trading d’Europa. Il colosso bancario britannico svilupperà infatti insieme alla piattaforma FinTech un servizio innovativo di anticipo fatture esclusivamente destinato alle aziende di più piccole dimensioni.

A cura di Matteo Tarroni, Founder e CEO di Workinvoice

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