Africa
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Africa: ecco perché il continente nero è l’ultima frontiera

Risorse naturali immense, la popolazione più giovane del mondo, economie in decisa crescita, mettono il continente nero in prima fila per i decenni che verranno. Quali sono le opportunità che presenta? Come investirvi?

Articolo tratto dal numero di maggio/giugno 2019 di Asset Management.

Africa. Il continente nero. La terra dei leoni, dei rinoceronti, delle giraffe, delle gazzelle e degli elefanti. Ma anche dei coccodrilli, dei leopardi, delle zebre, degli gnu e dei ghepardi. La terra dove la lotta per la sopravvivenza è stata eternata in centinaia di documentari, che probabilmente abbiamo visto tutti. In Africa, la culla del genere umano, oggi è in corso un altro tipo di lotta, che per fortuna non è più solo di sopravvivenza, ma sta diventando, ogni giorno di più una lotta di sviluppo. Eh già, perché se l’Africa è (ancora) l’ultima frontiera selvaggia del mondo, sta diventando anche l’ultima frontiera di qualcos’altro: gli investimenti.

Qualche dato, innanzitutto. Più di 30 milioni di Km quadrati per oltre 1,2 miliardi di abitanti. Uno stato, il Sudafrica, ormai stabilmente da tempo nella élite delle nazioni in via di sviluppo, e membro degli ormai famosissimi Brics. Altri, come Egitto e Nigeria, in crescita notevole e che sono hanno superato da poco il Sudafrica sia come crescita che come Pil. Altri ancora, come le nazioni della parte orientale del continente che, grazie alla Cina e alle sue mire espansionistiche (anche legate alla One Belt One Road Initiative, da noi ribattezzata Nuova Via della Seta), hanno ricevuto investimenti miliardari che hanno sviluppato, e stanno sempre più sviluppando, infrastrutture indispensabili per una crescita impetuosa nei decenni a venire.

Non solo. Risorse naturali immense, che sin dai tempi coloniali hanno attirato l’appetito del mondo intero, e che oggi, finito quel periodo per sempre, dopo la Seconda Guerra Mondiale, vedono le nazioni africane sempre più distaccarsi dalla società occidentali per sfruttare le medesime, magari anche con un occhio di riguardo alla questione ambientale. Ma dicevamo degli investimenti. Il continente nero non è sotto i radar degli investitori solo per quanto evidenziato finora, ma anche dal punto di vista dei mercati finanziari, naturalmente. Innanzitutto, in tutte le nazioni finora nominate esistono delle Borse valori come quelle occidentali o di altri mercati emergenti. In secondo luogo, tutte le banche d’affari e le case d’investimento più importanti del mondo hanno uffici nelle principali capitali africane, da cui gestiscono direttamente l’allocazione delle risorse che i loro investitori destinano, attraverso mezzi appropriati, allo sviluppo del continente. Terzo, i prodotti finanziari che investono in Africa, a lungo patrimonio solo dei cosiddetti “investitori istituzionali”, ormai da parecchio tempo (ma sfuggiti all’attenzione dei più, finora) sono disponibili anche per l’investitore retail. Quarto, le possibilità d’investimento nello sviluppo, ancora ben lungi dall’essere terminato e, anzi, solo all’inizio in ampie porzioni dell’immenso territorio africano, sono in piena linea con quanto si trova per qualsiasi altro mercato mondiale.

Qualcuno ha detto che la prima metà del XXI secolo sarà il periodo della piena affermazione cinese. Qualcun altro ha ricordato come l’imponente crescita indiana (superiore orma da anni a quella dell’ex Impero del Dragone), connoterà gli anni dal 2025 in poi, quando l’India diventerà la nazione più popolosa al mondo. Orbene, dal 2050 una delle città più grandi della Terra sarà Lagos, la capitale della Nigeria, nazione ricchissima di petrolio, gas naturale ed altro, e che a quell’epoca avrà raggiunto i 700 milioni di abitanti. E nel 2100 Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo (l’ex Zaire e, prima ancora, Congo Belga), supererà la capitale nigeriana e surclasserà l’attuale più popolosa città del continente, cioè Il Cairo in Egitto.

Ma di cosa è ricca l’Africa? Praticamente di tutto. Le risorse naturali sono immense e, come ben noto, sono state causa di depredamenti colonialistici perdurati fino agli anni ‘60 del secolo scorso. Le risorse idriche, forestali, minerarie, energetiche (petrolio e gas naturale), sono abbondantissime; l’immenso territorio africano necessita ancora di una rete sia ferroviaria sia autostradale sia viaria in grado di collegare le nazioni che ne fanno parte, e lo sviluppo sia di queste infrastrutture sia delle dighe per imbrigliare la forza di fiumi immensi come il Nilo, lo Zambesi o il Congo, così come la costruzione di centrali idroelettriche, solari ed eoliche, è solo all’inizio in praticamente il 95% dei Paesi. L’altra faccia della medaglia, innegabile, è che queste risorse sono mal distribuite sull’intero territorio, oppure non coinvolgono (spesso ma, fortunatamente, non sempre) la popolazione locale nel ricavo economico dell’indotto. I lati negativi, quindi, ci sono, come ovunque. Delle 54 nazioni che formano il continente, 25 appaiono tra i paesi più poveri della Terra. Allo stesso tempo, alcune nazioni hanno livelli di vita paragonabili a quelli occidentali (come il Sudafrica). Alcuni paesi dove la popolazione ha un livello di vita estremamente basso, sono ricchi di risorse il cui valore di mercato è infinitamente superiore a quello del prodotto interno lordo. Inoltre, il livello di povertà assoluta, da anni ormai comparato all’introito di un dollaro Usa al giorno per persona, può dare risultati contrastanti. In alcune aree, questa è una cifra più che sufficiente per condurre una vita normale, altrove, anche all’interno dello stesso paese, è assolutamente insufficiente anche solo per i bisogni di base di una persona.

L’Africa è, da sempre, un continente di grandi immensi, contrasti, alcuni appena esaminati. Ma anche di enormi opportunità. Come coglierle, quindi? Quali sono i settori più interessanti? Dove è rivolta l’attenzione degli investitori? Quali sono i settori dove il denaro raccolto con i prodotti finanziari viene investito?

L’Africa è un continente favorito dalla natura, come detto: in molti luoghi si realizzano addirittura tre raccolti l’anno. Secondo la Banca Mondiale, l’agroalimentare africano varrà 1 trilione di dollari nel 2030. Anche se sono stati effettuati significativi progressi (la produzione è cresciuta del +160% negli ultimi 30 anni), la ridotta meccanizzazione limita ancora la produttività. L’Africa ha oltre il 60% della terra arabile non coltivata del mondo; ciò rivela l’esistenza di spazi molto reali dove provare a sostituire l’import con produzione locale. Per quanto concerne l’ambito energetico, il continente gode di una delle migliori esposizioni solari del mondo (oltre 300 giorni all’anno). Ciononostante l’intera popolazione africana (1,2 miliardi, in crescita ogni anno del 2%) consuma meno energia di 150 milioni di cittadini europei. Solo un africano su tre ha un accesso stabile alla corrente. Investire in Africa nel settore dell’energia solare significa seguire una domanda molto concreta con un positivo impatto ambientale. Come detto, l’ambito infrastrutturale è un settore tanto tradizionale quanto fondamentale, che sta avendo un vero e proprio boom in ogni paese africano. Ben oltre le sole infrastrutture, della cui necessità vi è ampissima evidenza, ovunque ci sono opportunità per investire nel residenziale privato (di alta gamma ma anche nel social housing focalizzato su soluzioni accessibili a volte finanziato da donatori). Ci sono poi aziende attive lungo tutta la catena del valore, come nell’importazione di macchinari e di materiale da costruzione. Infine, da tenere d’occhio il settore healthcare. Il continente ha circa il 25% dei malati del mondo, ma solo il 3% dei medici. Per capirci, Tanzania o Etiopia hanno un solo dottore ogni 20mila abitanti, mentre in Italia ce ne sono 4 ogni mille. Le società attive in Africa nella sanità lo sono nell’importazione di farmaci e attrezzature biomedicali, guardando poi verso la realizzazione di produzione in loco. Al crescere del potere d’acquisto e della consapevolezza delle persone, dovrebbero infatti aumentare i controlli per combattere l’importazione di farmaci contraffatti (attualmente una piaga che costa 100mila morti ogni anno secondo l’Oms).

Sul mercato finanziario, che è poi quello che spesso rivolge la sua attenzione all’economia reale, ci sono sia fondi comuni sia Etf che investono nei mercati emergenti del continente, ma anche in quelli di frontiera (cioè in quei mercati che incominciano, o hanno incominciato, a svilupparsi e ad aprirsi agli investimenti esteri solo da poco). Tali prodotti, rivolti sia al mercato azionario (prevalentemente) sia a quello del debito, sono disponibili sia in euro sia in altre valute forti (eminentemente dollaro e sterlina, ma c’è anche un prodotto in yen giapponesi), o nella più scambiata valuta africana, vale a dire il rand sudafricano. Le case d’investimento sono quelle che conosciamo tutti, molti prodotti sono certificati con rating interessanti, ed addirittura alcuni sono prodotti d’eccellenza.

Tra gli Etf il prodotto probabilmente migliore, e con la miglior performance annuale, è il Lyxor Pan Africa Ucits Etf, che può vantare una performance Ytd del 16,65%, e che non a caso è il prodotto con il rating più alto, 4 stelle Morningstar. Prodotti come questo investono in una trentina di titoli, rappresentativi delle maggiori aziende africane, o comunque di aziende che abbiano la maggior parte dei loro affari e interessi in Africa. Altri prodotti che hanno fatto molto bene, battendo sempre la propria categoria, e sovraperformando l’industria nel complesso appartengono a iShares, che nell’annata tallona Lyxor con una performance Ytd del 16,31%, 3 stelle Morningstar e ben 4 globi di sostenibilità, sempre secondo Morningstar. Altre case- prodotto attive in zona, con risultati di poco inferiori a quelli appena accennati, sono Hsbc, Franklin Templeton, Van Eck, Deutsche Bank. È interessante notare come diverse case, tra cui iShares, Vank Eck e Hsbc, offrano anche dividendi interessanti a latere di questi prodotti, che presentano in media delle spese correnti nell’ordine dello 0,70% annuale. All’interno della casistica degli Etf rivolti al panorama africano, non potevano mancare quelli che si occupano di materie prime; quindi abbiano prodotti che consentono di investire in platino, palladio, rodio e oro, risorse di cui il continente, come dicevamo, è ricchissimo.

Per quanto concerne i fondi, anche qui ci sono ottimi prodotti, creati e gestiti da case come J.P. Morgan e Dws, ma l’offerta è più limitata, e il prodotto migliore sottoperforma l’Etf a cui può essere più comparato di un paio di punti percentuali. La spese, per quanto contenute pur trattandosi di fondi, sono leggermente più altre degli Etf, e i prodotti disponibili lo sono solo in due valute, dollaro ed euro. A questo proposito, è evidentemente lecito proporsi la domanda su quale valuta sia meglio investire, quando ci si rivolge al continente nero. Ovviamente, in ambito di reddito fisso, la scelta è tutta se rivolgersi a un tipo di debito emesso in valuta forte, o in valuta locale. A questo proposito, giova ricordare che la nazioni africane sono ancora molto sensibili all’emissione di debito in valuta forte, che preferiscono, in quanto la quasi totalità delle valute locali è utilizzata in scambi per lo più continentali, spesso limitati ai vicini geografici. È quindi evidente come emettere debito in dollari, euro, sterline o yen offra tutt’altro appeal per gli investitori. Per quanto concerne i prodotti azionari, l’esposizione in dollari è da preferire in quanto le aziende incluse sia negli Etf sia nei fondi sono tutte esportatrici a livello mondiale, e ogni contratto di ogni bene è comunque regolato in dollari, come per ogni commodity.

Veniamo adesso a rischio e opportunità di questi prodotti in portafogli. E quanto peso dargli. Si tratta di un ampissimo mercato emergente e di frontiera, come detto. Quindi, un’esposizione panafricana riguarderà sempre questo ampio settore, che nei portafogli più prudenti non dovrebbe superare il 10%, mentre in quelli più aggressivi si dovrebbe comunque mantenere entro un 20%. È bene ricordare che l’indice sintetico dei Kiid che riguardano le esposizioni azionarie verso i prodotti che investono in Africa va da 5 a 7, ovvero il massimo rischio che un prodotto finanziario possa incorporare. Due fattori devono essere tenuti in considerazione prima di investire in un prodotto esposto all’Africa; prima di tutto la liquidità: un fondo poco liquido vuol dire un fondo che sarà difficile vendere a un buon prezzo quando vorremo liberarci dell’investimento. Bisogna sempre scegliere prodotti che abbiano una buona liquidità e una buona capitalizzazione. In secondo luogo, la composizione: trattandosi di un Etf “continentale”, la composizione può essere delle più disparate; si tratta di scegliere quei titoli che abbiano una scelta di sottostanti congrua con la propria strategia di investimento.

Dicevamo dei rischi; quali sono quelli a cui si espone un investitore interessato a cogliere le (ancora) enormi opportunità del continente africano? Beh, chiaramente quelle di ogni mercato emergente. A oggi, investire su questi mercati è certamente la carta vincente per cercare quel surplus di performance che, nel lungo termine, cioè l’unico che dovrebbe interessare all’investitore, è in grado di creare la differenza tra un risultato positivo e uno negativo; ovviamente, bisogna tenere in conto che, a parità di investimento e lasso di tempo, investire in questi mercati è (molto) più rischioso, a causa, per definizione, di un’instabilità economico-sociale all’ordine del giorno (basta vedere cosa sta succedendo in questi giorni in Sudan e Libia). Quel che è interessante, per concludere, è che questi prodotti, sia nell’ambito dell’equity sia del reddito fisso, hanno già dato ampie soddisfazioni agli investitori. Ma la crescita del continente nero è solo all’inizio, e sarà impetuosa per tutto il XXI secolo. Non è mai troppo tardi per salire sul dorso della zona con il maggior sviluppo previsto di questo secolo, e godere della crescita (notevole) che ancora deve compiere.

A cura di Alessandro Ruocco

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