perdita di biodiversità
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Perchè la perdita di biodiversità deve stare a cuore agli asset manager

Insieme al cambiamento climatico, la perdita di biodiversità è diventata la principale sfida per la finanza sostenibile. Tuttavia, questa crisi non è stata affrontata con la stessa urgenza dalle autorità di regolamentazione e di governo, dalle imprese o dal settore finanziario. Riteniamo che nel 2022 gli sforzi concentrati sul cambiamento climatico dovrebbero essere indirizzati anche ad affrontare la sfida della biodiversità, poiché i due problemi sono interconnessi.

Alla COP26 del 2021, la firma di una dichiarazione di impegno a salvare e preservare le foreste del nostro pianeta ha cementato l’importanza della biodiversità quale crisi gemella del cambiamento climatico. Gli impegni del settore pubblico e privato per frenare la perdita di biodiversità, come pure le dipendenze e l’impatto delle attività aziendali sulla natura, ci confermano che questo problema deve essere preso in considerazione nei portafogli.

In questa serie di articoli dal titolo “Affrontare la sfida della biodiversità” miriamo a descrivere il percorso intrapreso dalle istituzioni finanziarie per impegnarsi a preservare la biodiversità nei prossimi anni. Ogni articolo si concentrerà su aspetti diversi della lotta alla perdita di biodiversità, con l’obiettivo di maturare una comprensione della rilevanza della biodiversità e della sfida che la sua perdita pone per le istituzioni finanziarie.

La sfida della perdita di biodiversità

Per biodiversità – la varietà della vita sulla Terra – si intende la natura in tutte le sue forme e interazioni. La biodiversità sottende dunque alla fornitura di servizi ecosistemici ed è parte integrante del capitale naturale. Di conseguenza, lo stato dell’ambiente naturale influenza in modo determinante il destino della nostra società.
L’aspetto essenziale da capire è che la perdita di servizi ecosistemici non è solo un pro blema ambientale, ma anche economico e sociale.

Gli ecosistemi naturali forniscono le basi della crescita economica, della salute umana e del sostentamento di una grossa fetta della popolazione.

Tuttavia, la salute degli ecosistemi è costantemente minacciata dall’attuale modello di sviluppo economico. Stiamo distruggendo il capitale naturale a un ritmo senza precedenti, creando un rischio significativo ma trascurato per l’economia, il settore finanziario e il benessere sociale

Le popolazioni di specie selvatiche sono diminuite di quasi due terzi dal 1970. Quasi il 25% del suolo a livello mondiale è oggi considerato degradato. Di conseguenza, si registra una perdita di specie animali e vegetali a un ritmo mille volte superiore a quello naturale. Il 25% dei gruppi animali e vegetali è costantemente minacciato, vale a dire che un altro milione di specie è a rischio di estinzione.

Secondo le valutazioni del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), gli ecosistemi del mondo sono diminuiti in dimensioni e condizioni del 47% a livello globale, rispetto alle stime di base, e l’ulteriore degrado dei servizi ecosistemici rappresenta una perdita annua di almeno 479 miliardi di dollari all’anno.

Nel 2019 sono stati spesi circa 500 miliardi di dollari in attività dannose per la natura, come dimostrato dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE).

La relazione tra imprese e capitale naturale

Le imprese dipendono da servizi ecosistemici come aria e acqua pulita, stabilità del clima o l’uso di piante a scopi medicinali. Le aziende interagiscono con l’ambiente attraverso le loro pratiche operative e di approvvigionamento.

Tuttavia, oltre ad essere dipendenti dalla buona salute dell’ecosistema, le imprese esercitano anche molteplici pressioni sulla natura, depauperando il capitale naturale, gestendo in modo insostenibile appezzamenti di terreno e finanziando attività che incidono direttamente o indirettamente sulla variabilità della natura.

Secondo IPBES, i principali fattori di accelerazione della perdita di biodiversità comprendono:

  1. Il cambiamento d’uso del suolo/mare
  2. Lo sfruttamento diretto
  3. Il cambiamento climatico
  4. L’inquinamento
  5. Le specie invasive

Uno studio globale di KPMG ha passato in rassegna le relazioni societarie delle prime 100 imprese per fatturato di 52 diversi paesi e giurisdizioni, per un totale di 5.200 aziende.

Lo studio ha scoperto che poco più del 23% delle imprese esposte al rischio di perdita di biodiversità a livello mondiale comunica l’esistenza di tale rischio nelle proprie relazioni societarie.

Si è scoperto che l’unico settore in cui la maggior parte delle imprese produce report sul rischio legato alla biodiversità è quello minerario (51%). Questo è comprensibile, dato che le attività estrattive si ripercuotono sui servizi ecosistemici della biodiversità durante tutto il loro ciclo di vita. Tra gli esempi di impatti diretti figurano:

  • Il rilascio negli ambienti acquatici di composti chimici che possono alterare sensibilmente il pH dell’acqua, avvelenare alcune specie e bioaccumularsi
  • L’uso di grandi quantità d’acqua
  • La deforestazione, con effetti sulla flora e la fauna circostanti
  • L’impiego di grandi quantità di energia spesso generata da fonti a elevate emissioni di gas serra

Istituzioni finanziarie e biodiversità

Gli investitori possono promuovere il cambiamento, ma hanno anche bisogno di maggiori informazioni per comprendere l’urgenza di integrare la biodiversità nel processo di investimento.

Per decenni, l’impatto dei consumi e delle attività produttive sull’ambiente è stato considerato un’esternalità. Sappiamo che le esternalità ambientali e sociali hanno un effetto significativo sul valore finanziario delle imprese. I problemi di reputazione giocano senz’altro un ruolo in questo, ma sono le sanzioni legali e regolamentari che incidono in misura maggiore sul valore di un’azienda. Molti gestori di fondi hanno già iniziato a considerare i rischi nello stimare il rendimento atteso dei fondi investiti in settori interessati dal cambiamento climatico. Tuttavia, non si rileva la stessa urgenza quando si tratta di affrontare la perdita di biodiversità.

A nostro avviso, la mancata considerazione degli impatti ambientali o sociali negativi mette a repentaglio la continuità operativa delle imprese. La mitigazione delle esternalità negative è la prima conseguenza naturale della transizione verso modelli di business più sostenibili.
I rischi associati alla perdita di biodiversità – la riduzione della produttività e della resilienza degli ecosistemi – hanno implicazioni sia macroeconomiche che finanziarie.

Basta considerare solo uno dei fattori di perdita della biodiversità – l’uso del suolo, in particolare la deforestazione – per comprendere i rischi sostanziali che da questo discendono.

Rischi di mercato I rischi in questo caso derivano da mutamenti delle tendenze del mercato, che influenzano il rating creditizio delle imprese. Vista la crescente preferenza dei clienti per i prodotti di origine sostenibile, i produttori che non rispettano le politiche di deforestazione zero rischiano di perdere acquirenti.

Rischi fisici Le foreste tropicali sostengono più di due terzi della biodiversità. Le istituzioni finanziarie sono esposte a una diminuzione della performance degli asset che dipendono dalla varietà della natura. I rischi fisici che scaturiscono dalle pressioni sulla biodiversità includono una graduale diminuzione del numero di specie, il calo della diversità degli impollinatori con la conseguente riduzione del rendimento delle colture o l’aumento dei costi dell’impollinazione manuale. Un altro rischio è quello delle inondazioni costiere dovute all’eliminazione della vegetazione, che danneggiano gli impianti di produzione. La perdita di biodiversità minaccia la sicurezza alimentare, traducendosi in prezzi sempre più alti.

Rischi reputazionali I rischi reputazionali discendono dal modo in cui un’azienda gestisce le sue attività legate alla biodiversità o da come i principali stakeholder percepiscono il brand nel suo insieme. La reputazione delle istituzioni finanziarie sul fronte della sostenibilità è a rischio se le imprese in cui investono non rispettano una dichiarazione di non deforestazione.

Rischi di transizione I rischi di transizione rappresentano l’incompatibilità tra le esposizioni delle istituzioni finanziarie e le misure adottate dalle autorità di governo. Le istituzioni finanziarie devono allineare le loro operazioni alle politiche pubbliche finalizzate ad arrestare e invertire il processo di deforestazione e alle mutevoli preferenze dei consumatori al riguardo.
Molte istituzioni finanziarie non hanno processi in atto che permettano loro di attuare una transizione abbastanza rapida.

Gli asset manager sono chiamati ad affrontare la sfida della perdita di biodiversità

Le istituzioni finanziarie sono esposte ai rischi e alle opportunità di business derivanti dai cambiamenti della biodiversità. Un investitore responsabile conduce un’analisi delle esternalità negative e positive di un’impresa, considerandole una parte importante del processo di investimento.

Anche i nostri clienti ci chiedono con crescente insistenza di affrontare la perdita di biodiversità, poiché questa può mettere a repentaglio i rendimenti finanziari. Il pubblico ha sollevato l’urgente necessità di un’azione immediata.

Gli investitori possono dialogare con le imprese in un processo di engagement per acquisire una migliore comprensione del problema e del suo impatto su diversi settori di attività, e possono iniziare a tenere conto della perdita di biodiversità valutando i rischi finanziari legati alla natura. Crediamo che gli asset manager cercheranno di dedicare maggiori risorse all’analisi di diversi modelli di dati utili allo scopo.

Sviluppi da tenere d’occhio nel prossimo futuro

Il 2022 è l’anno in cui si dovranno concordare misure efficaci per la biodiversità, che saranno ulteriormente elaborate e attuate nei prossimi anni. Ecco gli sviluppi a cui presteremo particolare attenzione:

1. La costituzione di una Taskforce on Nature-Related Financial Disclosures (TNFD)

La costituzione di una TNFD mira a favorire un accordo generale sull’approccio da utilizzare per comunicare le dipendenze e gli impatti legati alla natura. Questa iniziativa si propone di aiutare gli investitori a decidere quali imprese sono le migliori custodi della biodiversità e ad identificare i ritardatari con cui avviare un engagement mirato al cambiamento.

Analogamente, la già ampiamente accreditata Taskforce on Climate-Related Financial Disclosures (TCFD) dovrebbe dimostrare la rilevanza di tale questione e accelerare la sua integrazione negli investimenti ambientali, sociali e di governance (ESG). Entro il 2023 il gruppo si è impegnato a elaborare un quadro di riferimento per aiutare le imprese “a riferire e intervenire sui mutevoli rischi legati alla natura, in modo da favorire uno spostamento dei flussi finanziari globali dagli esiti negativi a quelli positivi per la natura”.

La decisione di creare una TNFD è un promettente passo avanti nell’integrazione degli impatti, delle dipendenze e dei rischi legati alla biodiversità nel settore finanziario.

2. Sviluppi politici globali

La Convenzione sulla diversità biologica (CBD) ha iniziato i lavori nell’autunno 2021 e proseguirà nel maggio 2022. Al vertice delle Nazioni Unite tenutosi a Kunming, in Cina, i paesi partecipanti si sono impegnati a concordare un Quadro globale per la biodiversità post-2020, che fissa una tabella di marcia per arrestare e invertire la perdita di biodiversità nell’arco di 10 anni. I negoziati finali sull’accordo dovrebbero svolgersi tra il 25 aprile e l’8 maggio 2022.

È possibile anche che vengano fissati obiettivi per eliminare gradualmente le attività d’impresa dannose per la natura, come l’agricoltura intensiva, la deforestazione e la pesca eccessiva.

Come accennato in precedenza, durante la COP26 di novembre 2021 i leader mondiali presenti hanno promesso di porre fine alla deforestazione entro il 2030. Questo impegno è stato fortemente criticato, poiché un obiettivo fissato a 10 anni di distanza lascia alle imprese parecchio tempo per abbattere le foreste. Detto questo, è importante sottolineare che si è trattato della prima dichiarazione in materia. Tra i firmatari del documento troviamo paesi come Brasile, Indonesia, Colombia, Canada e Russia, tutti caratterizzati da aree forestali tra le più grandi del mondo.

La strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030, compresa la strategia Farm to Fork, assume i seguenti impegni a tutela della natura:

  • Sottoporre a protezione giuridica almeno il 30% della superficie terrestre e il 30% della superficie marina dell’UE
  • Aumentare l’agricoltura biologica al 25% dei terreni coltivabili, ridurre l’uso di pesticidi del 50% e piantare tre miliardi di alberi
  • Riportare almeno il 10% dei terreni agricoli nell’ambito di caratteristiche paesaggistiche ad alta biodiversità

3. Tassonomia dell’UE su biodiversità ed ecosistemi

La tassonomia dell’UE12 è un sistema di classificazione per le attività economiche sostenibili.
Il suo obiettivo generale consiste nel creare trasparenza e standardizzare le informative sull’impatto degli investimenti per orientare le decisioni di investimento in una direzione più sostenibile. Il Regolamento sulla tassonomia stabilisce sei obiettivi ambientali, tra cui la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.

I criteri per gli obiettivi di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico sono stati già sviluppati. Attualmente la Commissione europea sta traducendo altri obiettivi legati alla protezione e al ripristino della biodiversità e all’uso sostenibile dell’acqua in criteri precisi per valutare le attività economiche.

La Tassonomia dovrebbe entrare in vigore per i quattro obiettivi ambientali entro la fine del 2022.

Una volta compresi i motivi per cui l’economia ha bisogno della natura e i molteplici rischi a cui sono esposte le istituzioni finanziarie che non affrontano la perdita di biodiversità, la necessità di integrare la natura nel processo di investimento diventa palese.

Attuare una transizione verso un’economia con un impatto positivo sulla natura significa passare da una perdita netta a un guadagno netto di biodiversità a livello di portafoglio. Per conseguire questo obiettivo, le istituzioni finanziarie dovranno non solo evitare gli investimenti a impatto negativo, ma anche mobilitare quelli con un impatto positivo, che mirano cioè a ottenere un aumento della biodiversità rispetto a un livello di base attraverso interventi/attività economiche. Ne sono un esempio le attività che conducono alla riforestazione o al ripristino di un habitat naturale.

Questo articolo si propone di fornire una comprensione dei rischi a cui sono esposte le istituzioni finanziarie che non affrontano le perdite legate alla natura, evidenziando la necessità di puntare ad avere un impatto netto positivo sulla biodiversità. Il passo successivo consiste nel quantificare la perdita di biodiversità associata agli investimenti e nel comprendere l’impatto di portafoglio sulla natura.

A cura di David Zahn e Karolina Grotowska, FRANKLIN TEMPLETON

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