Le obbligazioni non sono un lontano ricordo
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Le obbligazioni non sono un lontano ricordo

Il mondo del reddito fisso è ancora in grado di offrire ritorni positivi.

 

Ma, spiega Riccardo Volpi di Pharus, bisogna essere in grado di individuare le occasioni, diversificando e abbassando la duration del portafoglio Nino Gavioli Le obbligazioni sembrano non essere più in grado di offrire rendimenti interessanti. Ancora oggi, in alcune aree cosiddette «core», si viaggia in territorio negativo. In pratica, paradossalmente, chi compra un titolo di Stato non riceve alcun interesse, ma lo deve pagare. È così per i decennali dei paesi considerati più virtuosi, come Austria, Danimarca, Finlandia, Germania e Paesi Bassi (Danimarca, Germania e Paesi Bassi godono del rating tripla A di S&P, Fitch e Moody’s). Uno scenario che in piena crisi pandemica ha spinto gli italiani ad allontanarsi dal mondo obbligazionario e a parcheggiare la propria liquidità sui conti correnti. Basti pensare che in due anni, secondo gli ultimi dati Abi disponibili, i risparmi accumulati sui conti sono cresciuti di circa 250 miliardi di euro, un ammontare addirittura superiore alle risorse messe in campo dall’Italia con il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ma è davvero la scelta più giusta? Davvero il mondo del reddito fisso non è più in grado di remunerare adeguatamente gli investitori? «In Pharus non ne siamo conviti», commenta Riccardo Volpi, gestore di Pharus.

«Ci sono ancora aree che sono in grado di offrire il giusto rendimento, ma bisogna saperle individuare, adottando un approccio votato alla selettività e diversificazione, e abbassando l’obiettivo in termini di duration. Per questo abbiamo pensato di focalizzare su questo tema la nostra conferenza, “I rendimenti obbligazionari non sono solo un ricordo”, che porteremo alla prossima edizione del Salone del Risparmio (la conferenza si terrà giovedì 16 settembre alle ore 09:15)». D’altronde, in un contesto in cui gli interessi sui conti correnti sono praticamente pari a zero, la media della remunerazione dei conti deposito è inferiore all’1%, e l’inflazione attesa è in crescita, diventa davvero difficile ottenere un rendimento reale positivo, condizione fondamentale per preservare potere d’acquisto ed evitare che il proprio capitale si assottigli nel tempo. In più, alcuni istituti di credito, seguendo l’esempio tedesco, hanno iniziato a caricare di commissioni i conti (almeno quelli business) con giacenze superiori ai 100mila euro (come Unicredit, Bper e Bnl), mentre Fineco ha deciso «unilateralmente» di chiuderli, a condizione che non siano stati accesi finanziamenti e che non siano stati effettuati investimenti. Una scelta, quella degli istituti di credito, quasi obbligata, soprattutto considerando che il tasso applicato sui depositi presso la Bce è ancora negativo, e fermo al -0,50%.

Questo vuol dire che le banche sono costrette a pagare per depositare presso la Banca centrale europea la liquidità in eccesso derivante dall’accumulo di risparmio sui conti correnti. Da qui l’idea di disincentivare questa prassi applicando commissioni che permettano agli istituti di credito di recuperare le 2021 Luglio / Agosto 57 spese sostenute presso la Bce (non a caso Unicredit applica una commissione esattamente in linea con il tasso sui depositi Bce, ovvero lo 0,50%). L’INEFFICIENZA DEI CONTI È evidente, dunque, che lasciare i propri capitali fermi, a oziare sui conti correnti, non è proprio la scelta più saggia. Eppure, la mole di risparmio immobilizzata sta crescendo vertiginosamente. Gli ultimi dati disponibili di Abi, aggiornati al 31 maggio 2021, parlano di 1.775 miliardi di euro detenuti dagli italiani sui conti correnti (erano 1.526 miliardi a maggio 2019). Nello specifico si tratta di depositi della clientela ordinaria residente privata che includono conti correnti, depositi rimborsabili con preavviso, depositi con durata prestabilita e pronti contro termine. Una scelta che se da un lato potrebbe sembrare sensata, soprattutto considerando il contesto di crisi pandemica, dall’altro lato può essere molto pericolosa, soprattutto in un orizzonte temporale di medio-lungo periodo.

Sì, perché lasciare fermi i propri soldi, senza farli fruttare, vuol dire innanzitutto piegarsi al potere dell’inflazione. In pratica, quando i prezzi dei beni aumentano, il potere di acquisto dei capitali immobilizzati si riduce. E se nel 2020 l’indice del costo della vita non era un problema, considerando che la media annua è stata del -0,1%, da quest’anno il quadro è cambiato radicalmente, con l’inflazione che a giugno 2021 si è attestata all’1,3%. A questo, bisogna poi aggiungere l’effetto deprimente delle spese bancarie, che vanno a limare anno dopo anno la consistenza infruttifera del conto corrente. Investendo i propri risparmi, invece, non solo si può godere di una rivalutazione media annualizzata positiva nel lungo periodo, sia per le azioni sia per le obbligazioni, ma al tempo stesso si può anche abbattere la giacenza media sui conti correnti al di sotto dei 5mila euro, così da risparmiare l’imposta di bollo, pari a un fisso annuale di 34,20 euro.

INVESTIRE CON PRUDENZA Nel lungo periodo, i mercati finanziari mostrano rendimenti annualizzati non solo positivi, ma anche superiori all’inflazione. Sterilizzando il bilancio dall’effetto pandemia, a fine 2019 le obbligazioni a livello mondiale mostravano un rendimento medio annualizzato negli ultimi 20 anni del 2% (dati del Credit Suisse Global Investment Returns Yearbook 2020), contro un’inflazione media dell’1,6%. Il reddito fisso, quindi, è stato in grado di battere la liquidità, «e sarà così anche da qui in avanti», puntualizza Volpi. «Al di là di alcuni mercati sviluppati, in giro per il mondo è ancora possibile trovare rendimenti reali positivi, che mettono quindi al riparo i risparmiatori dalla perdita di potere d’acquisto ». E se si alza leggermente l’asticella del rischio, per esempio guardando ad alcune emissioni dei paesi emergenti, anche in valuta locale, i rendimenti possono addirittura competere con quelli dei mercati azionari. Più si alza l’asticella del rischio, però, più è necessario essere selettivi. E in tal senso una gestione attiva può aiutare il risparmiatore a investire in sicurezza.

Tratto da Asset Management luglio – agosto 2021

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