Effetto di trasferimento dall’IPP all’IPC: views top down e bottom-up

Una riflessione sull’effetto di trasferimento dall’IPP all’IPC

Monica Defend Global Head of Research Amundi

“Viste le pressioni sui margini derivanti dall’aumento dei costi degli input, il potere di determinazione dei prezzi delle aziende sarà un aspetto fondamentale da monitorare e guiderà anche le nostre decisioni d’investimento nel 2022”

Monica Defend, Global Head of Research Amundi

I cambiamenti di regime legati alla crescita e all’inflazione e la sequenza delle politiche monetarie sono due dei fattori principali sui quali ci soffermiamo nell’articolo “2022 Investment Outlook: investire nella grande trasformazione” Qui riflettiamo sull’effetto di trasferimento dall’IPP all’IPC, sull’effetto sui margini societari e sul significato della capacità di determinare i prezzi come criterio d’investimento.

Mentre le banche centrali e gli operatori di mercato si sono ormai lasciati alle spalle l’illusione riguardo al carattere “temporaneo/strutturale” dell’inflazione, noi estendiamo la nostra previsione di un “regime inflazionistico” fino al Q3 2022 basandoci su una combinazione di fattori:

  • traiettorie al rialzo
  • indice del costo dell’occupazione
  • costo unitario del lavoro
  • prezzi delle importazioni
  • IPP

Questi sono i cardini entro i quali delineeremo la nostra tassonomia del regime inflazionistico e le conseguenze per gli investimenti. Il differenziale tra IPP e IPC merita una particolare attenzione nel 2022 perché inciderà sui margini. Il divario tra i costi degli input delle catene del valore industriali e il potere reale di determinare i prezzi a livello settoriale/aziendale risulterà probabilmente evidente nel 2022.

La prospettiva top-down

In una prospettiva top-down, l’effetto di trasferimento dall’IPP all’IPC era visibile solo marginalmente nei dati della recente stagione delle trimestrali. Di solito l’effetto di trasferimento si ha con ricavi più modesti, rivalutazione del dollaro USA, tassi più bassi, margini più ristretti e quindi minori aspettative riguardo ai profitti e alla formazione degli utili. Se in passato l’effetto di trasferimento dall’IPP all’IPC veniva mitigato dagli aumenti di produttività correlati al progresso tecnologico, dalla globalizzazione e dalla delocalizzazione, nonché dalla svalutazione del dollaro ponderato in base agli scambi commerciali1, difficilmente si avrà un simile scenario nel 2022.

L’asincronia delle banche centrali favorirà il rafforzamento del dollaro USA; ci attendiamo inoltre una crescita a una sola cifra degli EPS2 a patto che le condizioni finanziarie rimangano favorevoli in un contesto di rafforzamento contenuto del dollaro ponderato per gli scambi commerciali e di tassi reali negativi. In conclusione, notiamo alcune pressioni derivanti da un costo unitario del lavoro leggermente più alto e da un indice più elevato dei prezzi alla produzione (IPP). La variante Omicron non solo ritarderà il superamento delle problematiche legate alle strozzature della filiera di approvvigionamento, ma potrebbe anche ostacolare alcune decisioni strutturali (rilocalizzazione) visto l’outlook ancora incerto.

La decelerazione dei fatturati, i margini più bassi e le condizioni di liquidità meno favorevoli sono tutti rischi ribassisti che mettono in discussione il nostro scenario di “disinteresse benevolo nei confronti dell’inflazione” nel primo semestre 2022. Inoltre, rispetto agli altri Paesi, gli Stati Uniti stanno dando prova di maggiore flessibilità nel trasferire i costi più alti degli input ai consumatori. In particolare, se utilizziamo le proxy della produttività degli indici IPC/IPP (tenendo conto dell’effetto Balassa Samuelson), possiamo spiegare in parte il vigore del dollaro nel 2021.

La prospettiva bottom-up

In una prospettiva bottom-up crediamo vi sia uno scarto temporale tra gli operatori del mercato e la catena del valore industriale reale; mentre i primi si adattano rapidamente e credono che la produzione si adegui quasi immediatamente ai nuovi prezzi degli input, accettando l’inflazione e gli aggiustamenti effettivi alla catena del valore industriale reale, quest’ultima impiega più tempo ad adattarsi e a integrarsi nella nuova dinamica. Dopo 15 anni in cui hanno dovuto misurarsi con le forze deflazionistiche, i CEO / i CFO devono far fronte a un contesto in cui si trovano a contrattare e rinegoziare nei gli aumenti dei prezzi per il 2022 nei loro budget (cambiamento di mentalità).

Finora, le evidenze in nostro possesso dimostrano che il fenomeno della rilocalizzazione e degli aggiustamenti sul breve termine delle filiere di approvvigionamento è sfuggente. A livello settoriale notiamo che in Europa il settore al consumo, quello dei materiali e quello industriale (soprattutto i trasporti) hanno sperimentato un effetto di trasferimento molto ridotto. I dettaglianti (food e non-food) corrono il rischio di sperimentare una compressione dei margini. Per contro, il settore del consumo, del lusso, del packaging e alcune parti del comparto tecnologico stanno dimostrando un potere di determinazione dei prezzi maggiore.

Il settore farmaceutico è un caso a sé: visto che i prezzi sono perlopiù regolamentati, il settore ha poco potere di determinazione dei prezzi ma non è ancora interessato dall’ aumento dei prezzi degli input. Per concludere, il regime inflazionistico dominerà gran parte del 2022. L’effetto di trasferimento dall’IPP all’IPC probabilmente graverà sulla formazione degli utili, motivo per cui la capacità di determinare i prezzi avrà un ruolo cruciale. Prevediamo considerevoli ribassi per gli attivi rischiosi nel primo semestre del 2022, il che giustifica la nostra minore esposizione azionaria e la nostra posizione neutrale alle soglie del nuovo anno.

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