L’era della Tokenizzazione nella nuova finanza globale

Dagli USA all’Europa: intervista esclusiva all’esperto Vincenzo Oliverio su opportunità e sfide della finanza tokenizzata.

In pochi anni la tokenizzazione degli asset reali è passata da esperimento di nicchia a dossier strategico sui tavoli dei grandi player globali. Negli Stati Uniti colossi finanziari stanno già gestendo miliardi in strumenti tokenizzati, a partire dai Treasury USA, portando la blockchain dentro il cuore dei mercati regolamentati.

In Europa, tra nuove regole sui cripto-asset e prime emissioni sperimentali, il quadro sta prendendo forma ma la strada normativa è ancora in costruzione.

Per capire cosa sta arrivando – e con quale impatto su equity, debito e infrastrutture reali – abbiamo intervistato l’Avv. Vincenzo Oliverio, Global Head of M&A & Capital Markets di Oliverio & Partners, una delle top boutique europee con un network consolidato con i principali hub finanziari statunitensi.

Proprio perché molte delle innovazioni della nuova finanza globale nascono negli USA, abbiamo voluto parlare con una delle pochissime figure in Italia che unisce competenza tecnica, esperienza cross-border e visione strategica su questo nuovo mercato destinato a diventare dirompente.

Avvocato Oliverio, tutti parlano di “tokenizzazione”. Partiamo da terra: che cosa significa davvero?

Togliamo subito la patina di buzzword. Tokenizzare un asset significa rappresentare, su una blockchain o registro distribuito, un diritto economico o giuridico che oggi è “incarnato” in uno strumento tradizionale: azioni, obbligazioni, quote di fondi, crediti, flussi di cassa di un’infrastruttura, immobili, commodities, ecc.

Il token diventa il “contenitore digitale” di quel diritto:

  • può essere frazionato con grande precisione;
  • può essere trasferito e regolato quasi in tempo reale;
  • può essere programmato (ad esempio per pagare automaticamente cedole o dividendi);
  • può interagire con altre applicazioni (collateral, prestiti, derivati, ecc.).

La differenza rispetto alla vecchia dematerializzazione è che qui l’asset vive nativamente in forma digitale, con regole di funzionamento incorporate nel codice (smart contract) e registrate in modo immutabile. Non è un PDF su un server, è un pezzo di infrastruttura finanziaria.

Perché gli Stati Uniti sono avanti? E in cosa l’Europa è indietro?

Gli Stati Uniti hanno tre vantaggi chiari:

  1. Profondità di mercato: I grandi asset manager americani hanno massa critica, budget e tolleranza al rischio per sperimentare davvero. I tokenized Treasury sono già una realtà, con fondi in forte crescita.
  2. Regolatori pragmatici: Non è il “Far West”, ma il dialogo tra grandi istituzioni e regolatori permette piloti su scala rilevante, pur restando dentro i framework esistenti.
  3. Capitale e tecnologia nello stesso posto: San Francisco, New York, Miami: lì trovi nella stessa stanza gestori tradizionali, sviluppatori blockchain, exchange, banche d’investimento.

L’Europa, invece, ha un punto di forza e uno di debolezza:

  • Punto di forza: il quadro normativo europeo su cripto-asset e infrastrutture DLT è tra i più avanzati al mondo; ci sono regole comuni e percorsi autorizzativi definiti.
  • Punto di debolezza: c’è ancora frammentazione applicativa tra stati membri, tempi lunghi di autorizzazione e una certa prudenza “culturale” che rallenta i progetti più innovativi.

Risultato: oggi la vera scala è negli USA; l’Europa arriverà – e arriverà forte – ma con qualche anno di ritardo operativo rispetto alle esperienze statunitensi.

Che ruolo giocano concretamente le aziende in questa nuova era della tokenizzazione?

Il ruolo delle aziende è centrale. Senza le aziende – industriali, infrastrutturali, tech, finanziarie – la tokenizzazione resta solo un esercizio teorico. Sono le aziende che:

  • mettono sul tavolo gli asset reali: impianti energetici, infrastrutture, immobili, portafogli di crediti, partecipazioni;
  • decidono quali flussi di cassa rendere investibili tramite strumenti tokenizzati;
  • cambiano il proprio modo di finanziarsi, passando da logiche puramente bancarie o di debito tradizionale a modelli ibridi che combinano capitale istituzionale, tokenizzazione e, in alcuni casi, investitori professionali globali.

In pratica, le aziende devono:

  1. Mappare i propri asset “tokenizzabili”: Non tutto ha senso farlo on-chain. Hanno senso asset con cash flow relativamente stabili, diritti chiari, governance definita. Le aziende devono capire cosa è strutturabile e cosa no.
  2. Ripensare la strategia di funding
    La domanda non è più solo “banca o bond?”, ma:
    1. “ha senso una componente tokenizzata del mio debito?”
    1. “posso aprire a investitori che oggi non raggiungo?”
    1. “posso migliorare la liquidità di certe partecipazioni?”
  3. Attrezzarsi sul piano organizzativo
    1. strutture di finanza e tesoreria in grado di dialogare con piattaforme DLT;
    1. uffici legali e compliance che comprendano implicazioni normative e operative;
    1. una governance consapevole degli impatti reputazionali: la tokenizzazione rende molte cose più trasparenti.

Le aziende che iniziano ora con progetti pilota seri – su asset che conoscono e controllano – si metteranno nella posizione di essere first mover credibili quando il mercato europeo entrerà in una fase di scala.

In che modo la tokenizzazione può cambiare il mondo equity?

Sul lato equity la trasformazione è tripla:

  1. Cap table digitale nativa
    Le azioni, le quote di una società, le partecipazioni in SPV possono essere emesse direttamente come security token, con un registro soci on-chain. Questo riduce errori, tempi di aggiornamento, costi notarili e di back-office.
  2. Accesso al capitale
    Frazionare e digitalizzare la partecipazione consente di aprire round di raccolta a platee di investitori più ampie, pur restando in regimi regolamentati. È una forma di “mini-IPO programmabile”, con soglie, limiti e filtri incorporati nello strumento.
  3. Secondario più efficiente
    Oggi il vero problema delle PMI è l’assenza di un mercato secondario liquido. Una piattaforma DLT autorizzata può permettere scambi più frequenti, con regole di compliance integrate nello smart contract (limiti a certe giurisdizioni, blocco per periodi di lock-up, ecc.).

Non è fantascienza: è l’evoluzione naturale dei concetti di dematerializzazione e di Security Token Offering, inseriti dentro un framework regolamentato e istituzionale.

E sul lato debito? Qual è davvero il valore aggiunto rispetto alla “vecchia” obbligazione?

Sul debito la tokenizzazione è, se possibile, ancora più dirompente perché:

  • riduce drasticamente i costi di emissione e gestione di obbligazioni di taglio medio-piccolo (che oggi spesso non stanno in piedi economicamente);
  • permette settlement quasi istantaneo, invece dei classici T+2/T+3;
  • consente una programmabilità estrema: cedole pagate automaticamente, trigger di covenant, meccanismi di step-up collegati a KPI misurati in modo trasparente.

Il vero salto è quando l’obbligazione tokenizzata è agganciata a un “real world asset” chiaro e monitorabile, come il cash flow di un’infrastruttura energetica.

Ci faccia l’esempio concreto che citava: un bond tokenizzato con sottostante il cash flow di un’infrastruttura energetica.

R: Immaginiamo questo caso, molto realistico.

  1. Il sottostante
    1. Un parco fotovoltaico o eolico con contratti di lungo termine (PPA o tariffe incentivanti) che generano cash flow stabili e prevedibili.
    1. L’asset è detenuto da una SPV veicolo che incassa i ricavi e sostiene i costi di gestione e finanziamento.
  2. La struttura tradizionale
    Oggi potremmo finanziare la SPV con:
    1. un project financing bancario;
    1. un minibond sottoscritto da pochi investitori istituzionali;
    1. qualche forma di private debt.

Tutti strumenti validi, ma:

  • ticket minimi elevati,
    • poca liquidità,
    • processo di emissione e post-trade poco efficiente.
  • La struttura tokenizzata
    Invece strutturiamo un “Energy Infrastructure Tokenized Bond”:
    • Strumento giuridico: l’obbligazione resta un titolo di debito disciplinato dal diritto italiano o di un altro stato membro UE. Il token è la “rappresentazione digitale” di quella posizione creditoria.
    • Register & settlement: la circolazione dei bond avviene su una piattaforma DLT autorizzata che funge da trading venue e/o sistema di regolamento.
    • Sicurezza: il bond è secured dal pegno sulle quote della SPV e/o da un pledge sui conti di incasso dei ricavi energetici. I flussi in entrata vengono canalizzati su conti monitorati, con waterfall programmata in smart contract:
      • costi operativi,
      • servizio del debito (cedole e rimborso),
      • eventuali distribuzioni residue agli azionisti.
  • Distribuzione
    • Emissione rivolta inizialmente a investitori professionali e qualificati.
    • Tagli minimi ridotti grazie alla tokenizzazione (ad esempio 1.000 o 5.000 euro), ma sempre in linea con le soglie regolamentari.
    • Possibilità di prevedere, in una fase successiva, un segmento retail tramite piattaforme con regole KYC/AML stringenti e documentazione informativa adeguata.
  • Vantaggi rispetto al bond tradizionale
    • Maggiore liquidità potenziale: il bond può essere scambiato 24/7 su mercati DLT autorizzati.
    • Trasparenza: l’investitore vede on-chain le condizioni dello strumento e, potenzialmente, indicatori sintetici delle performance dell’asset sottostante (produzione energetica, cash flow incassato, covenant).
    • Accesso globale (nei limiti normativi): investitori di più giurisdizioni possono sottoscrivere, con filtri automatici basati su residenza, status e profilo di rischio.
    • Efficienza operativa: corporate actions e pagamenti vengono gestiti via smart contract, con impatto forte sulla riduzione dei costi post-trade.

Perché insiste tanto sul tema della disciplina normativa chiara?

Perché senza chiarezza normativa la tokenizzazione resta un giocattolo per start-up, non uno strumento per gestori istituzionali, banche, assicurazioni, grandi corporate.

In Europa i tasselli ci sono, ma manca ancora una mappatura operativa nitida:

  • cosa posso fare esattamente con un bond tokenizzato in ciascuna giurisdizione?
  • come qualifico il token: strumento finanziario, altro tipo di cripto-asset, e-money token?
  • quali sono, in concreto, i requisiti di capitale, di reporting, di condotta?

Finché queste domande non hanno risposte chiare, molti attori preferiranno aspettare. E così rischiano di perdere vantaggio competitivo proprio mentre il mercato entra in una fase di scala.

Cosa cambierà, in concreto, per un’azienda o un fondo europeo nei prossimi 3–5 anni?

Se la traiettoria attuale viene confermata, mi aspetto tre cambiamenti concreti:

  1. Nuovo standard di emissione
    Sempre più strumenti di debito e quote di fondi chiusi nasceranno tokenizzati by design, non riconvertiti ex post. Sarà semplicemente la modalità standard di emissione.
  2. Capitale globale per asset locali
    Un’infrastruttura energetica in Italia, un portafoglio immobiliare in Spagna, un progetto industriale in Germania potranno attingere capitali da investitori globali tramite strumenti tokenizzati, restando all’interno di un perimetro regolamentato UE.
  3. Competenze ibride obbligatorie
    Non basterà più “avere il legale” e “avere il tecnico IT”. Serviranno strutture interne e advisor capaci di parlare allo stesso tavolo di:
    1. diritto dei mercati finanziari,
    1. ingegneria finanziaria (strutturazione di equity/debt),
    1. tecnologia DLT e cybersecurity,
    1. regolazione cross-border (USA–UE–UK, ecc.).

Le aziende che iniziano oggi a costruire queste competenze saranno quelle che domani detteranno le regole del gioco

La tokenizzazione non è una moda. È una profonda evoluzione dell’infrastruttura della finanza globale.

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